«E questo cos’è?» Mormorò Imper avvicinandosi al cassonetto dove aveva vomitato, per terra aveva visto qualcosa brillare alla luce dei lampioni; si piegò e lo raccolse.
«Oh, un orecchino! Forse è della raga-»
«Imper Augusti! Cosa le avevo appena detto riguardo a non toccare nulla?!»
Esclamò Sara, avvicinandosi infuriata.
«Ehm, n-non pensavo… io…»
«Stia zitto e lo molli subito!»
«Si dottò!» Esclamò il barman lasciando cadere per terra l’oggetto, che fortunatamente non si ruppe.
Sara alzò lo sguardo fulminando Imper, sembrava Satana in persona: «È per caso un idiota?! Semina caos e impronte ovunque, ha appena invalidato una prova e ora cerca pure di manipolarla!? Non avrei dovuto portarti qua! Già ho un novellino a cui badare, e ora devo pure badare a un bambino che non sa tenere le mani a posto!»
«Ma… tu mi avevi detto di mollarlo…»
«Stia zitto!» urlò e si massaggiò le tempie con una mano, sembrava esausta, sospirò un paio di volte, lo guardò, sospirò ancora una volta, e con voce molto pacata disse: «Può andare a casa. La chiamerò domani mattina. Se ne vada. Ora.»
«Ma… e quell-» Stava per chiedere riguardo l’orecchino, ma si rese conto che se avesse pronunciato anche solo altra mezza parola, forse a quel punto la dottoressa gli avrebbe sparato in testa, senza indugi.
«Ok, me ne vado. Ciao dottò.» E se ne scappò a casa senza dire null’altro, o almeno era intenzionato a far così, ma venne fermato da un signore sotto casa, che si rivelò essere il cliente ricco di prima, in compagnia di altri uomini, vestiti tutti di nero e non sembravano avere buone intenzioni.
«Signor Hia…?»
L’uomo si avvicinò ad Imper, sorridendo con innocenza, mise una mano sulla sua spalla: «Spero tu sia stato abbastanza sveglio da non rivelare il mio nome alla tua poliziotta. A proposito, carina, eh? Ci vai a letto?»
«Ehm… signor H… signore, non so cosa intende, io stavo solo andando a casa.» Balbettò confuso, in mente aveva solo l’agognato letto, non vedeva l’ora di poter dormire per almeno 24 ore di fila, dopo aver lavorato per più di diciotto ore al giorno, per due giorni consecutivi.
«Bravo, è la risposta giusta, puoi salire adesso, si faccia una bella dormita, e domani non dirai nulla alla tua cara amica sbirra. Buonanotte.» Chiuse il discorso il cliente, sorridendo, fece un cenno agli altri uomini e se ne andarono via lasciandolo solo.
«Cosa diavolo è appena successo?» Scuotò la testa, stanco e confuso, decise che ci avrebbe ripensato più tardi a quanto successo, in quel momento gli importava solo dormire.
Salito in casa, si spogliò e di malavoglia decise di farsi una doccia al volo, puzzava troppo di sudore ed alcol, e inoltre aveva anche vomitato.
Si infilò sotto l’acqua, ci mise qualche minuto intero a trovare la giusta temperatura, fra bestemmie, e per tenersi sveglio si arrischiò a canticchiare, ma fu immediatamente zittito da qualche colpo proveniente dal piano di sotto.
«Che palle…» Sussurrò sottovoce, sbuffò e senza più canticchiare finì di lavarsi, uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano attorno alla vita, si guardò allo specchio.
«Dovrei smettere di lavorare così tanto, o almeno cambiare orario… Oppure cambiare lavoro, servendo del caffè di giorno che dell’alcol di notte! Sto accumulando troppe rughe, e poi queste occhiaie, sembro un panda!» Si toccò il viso, lamentandosi, prese una crema e se la spalmò con cura. Finito ciò, si gettò sul letto, senza nè asciugarsi i capelli, nè mettendosi almeno un paio di boxer, e si addormentò, lasciando perfino la luce accesa.
Sara, invece, era rimasta nel vicolo mentre stava esaminando l’orecchino di prima, in attesa che la scientifica porti via il corpo.
«Più che orecchino, sembra un piercing, per giunta strappato via a forza, a giudicare dal lembo di carne.» Giudicò con mente fredda, mentre lo raccoglieva con i guanti e lo riponeva con cura nella scatola delle prove.
«Porta anche questo in laboratorio.» Ordinò ad un agente della scientifica.
«Si, capo.» e portò via la scatola, insieme al corpo.
«Chi ha finito qua può andare a casa, ci vediamo domani in ufficio. Buonanotte.» Salutò gli altri agenti e salì in macchina, ma non la mise in moto: stava guardando il locale “King Yellow” e pensando al barman, che sembrava un prezioso testimone, ma che per il momento era solo un enorme peso inutile.
Inoltre qualcosa non la convinceva, nutriva molti dubbi nei suoi confronti, fra cui uno in particolare: “il barman era davvero innocente o aveva un ruolo negli omicidi?”.
«Tutte le ragazze morte trovate finora sono passate da questo locale, e hanno avuto contatti con Imper Augusti. Inoltre perchè mai il capo vuole che collabori, insistendo che è innocente e testimone fondamentale? Che si conoscano? Impossibile. Deve esserci qualcosa che non so.» Mormorò fra sè e sè Sara, si massaggiò ancora la fronte e decise che sarebbe andata a casa a dormire per almeno quattro ore, prima di riprendere a lavorare.
Arrivata nella sua piccola villa in campagna, abbastanza isolata dalla città, quanto bastava per non sentire alcun rumore cittadino, spense e scese dall’auto e andò a sedersi sul dondolo. Da lì poteva ammirare la luna splendere su nel cielo, prese il suo fedele taccuino, rileggendo quanto scritto fino a quel momento, nonostante le iniziali intenzioni di dormire un po’.
Disegnò una piccola mappa concettuale, collegando ai nomi delle ragazze l’anno di nascita e l’ordine in cui erano state assassinate.
«Questo bastardo le sta uccidendo in ordine di nascita, e sono tutte maggiorenni.» Si rese conto anche di un altro fattore in comune, erano tutte vestite eleganti, con un abito corto.
«Le ragazze venivano portate in una strada stretta e buia, per poi venir pugnalate dritto al cuore, attraverso l’utilizzo di una lama sottile, uno stiletto o un coltello da cucina. E, a quanto dice il medico legale, veniva usato lo stesso pugnale per tagliare via gli arti, e mai tutti e quattro insieme. Un braccio e una gamba alla volta, o due braccia, o due gambe. Che senso ha? Inoltre tutto il lavoro sarà durato minimo un’ora, eppure non ci sono testimoni. È impossibile che nessuno si sia accorto di qualcosa del genere…»
Gettò per terra il taccuino con rabbia, incrociando le braccia sul petto, non riusciva a capacitarsi di come l’assassino se la cavasse sempre senza venir scoperto sull’atto.
Abbassò lo sguardo sulle pagine per terra, accorgendosi di una cosa, si piegò e le prese: «Quella di oggi aveva 18 anni appena compiuti, e il barman, a quanto dice, controlla sempre le loro età, per cui… che sia lei l’ultima vittima?»
Mormorò, ma si sentiva troppo nervosa e stanca per ragionare come si deve, si sentiva anche demoralizzata, sospirò più volte guardando la luna e si stese sul dondolo, lasciandosi cullare dal leggero venticello.
Non riuscì a dormire, continuò a fissare le stelle e la luna, finchè non scomparvero dietro il sole che stava facendo capolino tra le montagne.
Si alzò, entrò in casa e dopo aver fatto una veloce doccia si vestì e decise di andare a prendere Imper Augusti, lo avrebbe portato in questura per interrogarlo come si deve, era convinta che dovesse avere a che fare con l’assassino.
Arrivata nel quartiere dove stava il barman, andò dritta verso il palazzo, e ricordando i dati che aveva lasciato nella deposizione, salì fino all’ultimo piano, bussò più volte con nervosismo alla porta, con la scritta: “Augusti, ma non l’imperatore”.
«Che ridicolo…» Sbuffò mentre aspettava che l’uomo aprisse, bussò ancora una volta, con più insistenza.
Si sentì dei rumori da dietro la porta, poi una voce: «Cazzo! E mo’ chi rompe adesso a quest’ora?!»
Sbraitò Imper mentre saltellava su un solo piede, dato che aveva sbattuto il mignolo dell’altro piede contro il comodino, facendolo bestemmiare, aprì la porta con gli occhi mezzi chiusi.
«Non compro nulla-ah…ah ah…ehm, dottò?» Esclamò sorpreso il barman, che era ancora nudo, anzi, totalmente nudo, dato che nel sonno l’asciugamano gli si era staccato cadendo per terra.
La poliziotta non appena vide lo “spettacolo” fece un verso di stizza: «Tsk, si copra o le sparo nelle palle e la arresto per molestie sessuali.»
Imper abbassò lo sguardo seguendo quello della poliziotta e si rese conto dell’assenza dell’asciugamano, si portò immediatamente le mani a coprirsi, le orecchie arrossate.
«Quanta violenza di prima mattina… Non mi sorprenderebbe scoprire che tu fossi single, i miei gioielli sono preziosi.»
«Bando alle ciance. Si vesta immediatamente, la porto in questura.»
«Di nuovo in questura?! Ma avevamo deciso che ero innocente! Perchè non posso stare a casa a dormire? Non ho dormito le solite otto ore!» Si lamentò il barman, guardando con occhi supplicanti la donna, mentre ancora si copriva con le mani.
Però la donna non ebbe pietà, estrasse la pistola dalla fondina.
«Ehi, ehi, ehi, aspetta! Stavo scherzando! STAVO SCHERZANDO! Ora vado subito a vestirmi e sarò tutto tuo, dottò! Posa quella cosa là!» Si agitò Imper, saltellando sul posto nervosamente, gli occhi puntati sulla canna dell’arma.
La donna sbuffò e la ripose al suo posto, assicurandola col blocco, e incrociò le braccia sul petto, mentre l’altro si fiondò in casa, si potevano sentire vari rumori di cose che cadevano per terra.
Il barman, dopo qualche minuto, rispuntò sull’uscio della porta, stavolta completamente vestito, con un paio di jeans chiari e una camicia bianca, i capelli tuttavia erano arruffati, qualsiasi donna avrebbe pensato che fosse davvero bello, ma non Sara, non era interessata in quelle cose.
«Sono pronto, arrestami pure, dottò!»
La donna non disse nulla, gli diede le spalle, si incamminò verso il piano terra e salì in macchina, aspettando che l’altro la raggiungesse.
Imper rimase fermo per qualche secondo, confuso, poi riscuotendosi chiuse la porta a chiave e si precipitò nel raggiungerla e si precipitò a sedersi in macchina accanto alla dottoressa, rimase in silenzio per tutta la durata della strada, finchè non giunsero di fronte alla questura.
«Che palle… ‘sta questura mi perseguita…» Mormorò l’uomo mentre fissava l’imponente palazzo, con la scritta in grande “QUESTURA”.
Scesero dalla macchina e Sara lo guidò fino all’ufficio, lo fece accomodare da uno degli agenti in sala interrogatori.
Lei passò prima dalla sua scrivania a recuperare un paio di documenti e si indirizzò verso la sala, si sedette dall’altro lato del tavolo.
«Dottò, siamo di nuovo qui, perchè mi ci hai portato di nuovo? Che palle… Non ho nemmeno fatto colazione!» Si lamentò mentre un agente entrò in sala interrogatori, interrompendo così le sue lamentele, portò una tazza di cappuccino a Sara, che bevve tranquillamente, senza pronunciare una parola, mentre sfogliava i documenti di fronte a sè, come se Imper non esistesse.
«Agente! Perchè non ne hai portato uno anche per me? Ho fame, e ho anche sonno!»
Ma quest’ultimo, non appena aveva consegnato la tazza aveva girato i tacchi e se ne stava già andando via, lasciandoli soli, chiudendo la porta dietro di sè.
Passarono alcuni minuti di silenzio, Imper stava giocherellando con le chiavi di casa, che teneva appese alla cinta dei jeans, provocando così dei leggeri ma fastidiosi rumorini in sottofondo.
«Imper Augusti. Qual è il suo rapporto con il questore?» Chiese la donna, interrompendo il rumore. Aveva deciso di porre quella domanda dopo aver notato che per l’uomo non era la seconda volta che veniva in questura, oltre allo strano comportamento del suo capo e di come cercasse di convincerla ad assumere quel barman da strapazzo.
«Questore? Di chi parli? Ah! Parli di mio zio? Bah, è solo un vecchiaccio che vuole da sempre che io faccia il poliziotto.»
Sarà sbarrò gli occhi a quella rivelazione, capendo finalmente il motivo del questore. Voleva solo usarla per convincere Imper ad entrare a far parte della Polizia.
Chiuse la bocca, formando una stretta linea, tese all’uomo i documenti che aveva recuperato prima dalla sua scrivania, in silenzio, intimando con lo sguardo di leggerli.
«Ho detto qualcosa di sbagliato? Ah? Mh… devo leggerli? Ok, uhm… “Killer dei 2000”? Per caso è il titolo di un film, non lo conosco, lo devo vedere?» Chiese confuso Imper alla dottoressa, non sapeva come comportarsi e cosa fare in quelle situazioni.
«Come avevo annunciato ieri, lei collaborerà con noi, in questa indagine, finchè non arresteremo il Killer dei 2000. Firma i documenti per questioni di burocrazia.»
«Ah, ancora con questa storia? Io non voglio collaborare, dottò! Cioè, quello che intendevo dire è che, insomma… collaboro ma non voglio lavorare per voi! Aha! Ecco perchè quella domanda! È stato mio zio! Accidenti… quel vecchiaccio, non sa mai quando arrendersi!» Esclamò il barman alzandosi in piedi, puntando un dito contro Sara, l’espressione che emanava frustrazione.
«E io non voglio che un sospettato venga assunto come collaboratore, ma è il mio capo che decide, quindi eccoci qua.»
«Cosa?! Sono ancora un sospettato? Ma pensavo avessimo risolto questo!»
«Non per me. Ogni vittima era passata da lei, e guarda caso, non appena uscivano dal suo locale da quattro soldi morivano!» Ormai Sara aveva del tutto perso la pazienza, non gliene era rimasta nemmeno un milligrammo, si era alzata in piedi anche lei e guardava con astio l’uomo.