1° Caso – IV parte

Il Killer dei 2000

  «Tu hai a che fare con il Killer, e lo dimostrerò.»

«Woah aspetta! Mi hai appena dato del tu? No, aspetta, fermi tutti, stop! Cosa hai appena detto? Io?! Non c’entro nulla con quel pazzo! Non sono capace di uccidere nemmeno un ragno, figurati u-una persona! Follia! Io amo la vita! I love the laife! Capito? Non accusare persone a caso!»

La dottoressa chiuse gli occhi, prese un lungo respiro, non sprecò alcuna parola per correggerlo su come si pronunciasse correttamente la parola “life”, li riaprì e lo fissò: «Bene. Se vuoi dimostrare di essere innocente, collabora con noi, e firma questi documenti. O ti sparo nelle palle.»

Il barman si portò le mani a coprirsi, istintivamente, i suoi gioielli di famiglia, come a volerli proteggere ad ogni costo, il sudore che colava sul suo collo, era nervoso. Si sedette piano, sempre con le mani a nascondersi le parti basse, guardò i documenti di fronte a sè, inghiottendo un grosso fiotto di saliva, che lo portò a tossire convulsamente.

Quando la tosse finalmente si placò, Imper era oltremodo imbarazzato, e chiese, rosso in volto, una penna per poter firmare.

La donna estrasse con molta calma una penna dal taccuino, posandola silenziosamente accanto ai fogli sul tavolo, però all’uomo sembrò una velata minaccia, come a volergli dire “ti conficco questa nella mano che ti protegge le care palline.”

L’uomo ridacchiò nervosamente, prese la penna con mano tremante e firmò, sussurrando a bassissima voce: «Ho appena firmato la mia condanna alla morte.».

Sara prese sgarbatamente i fogli e la penna, uscì dalla sala interrogatori, lasciandolo solo, e quasi inciampò sugli altri agenti che si erano nascosti dietro la porta, ad origliare il discorso. Uno dei tre cercava di non ridere, nascondendosi la bocca dietro la mano.

«Scusi capo, uhm… noi…» cominciò a parlare il più giovane dei tre, di nome Mark, ma venne zittito dallo scappellotto dato dall’altra donna della squadra, Francesca.

Sara li ignorò e portò i documenti firmati direttamente nell’ufficio del questore, che la stava aspettando, con un sorrisetto sul viso.

«Sono lieto di leggere che mio nipote ha firmato, mi raccomando, abbi cura di lui, è il mio pargoletto preferito» parlò con voce allegra il questore, mentre leggeva i documenti appena portati dal capo della squadra mobile- «So che lavorerete bene entrambi, e non sparargli se ti farà arrabbiare. Buon lavoro, eh, eh.»

La dottoressa lo salutò seccamente e uscendo dall’ufficio andò in quello suo, che divide con altri della squadra. Vi trovò il nipote del questore seduto accanto alla sua scrivania.

«Dottò Sara! Perchè mi avevi lasciato solo lì? Ho fame… non ho ancora fatto colazione, sai! Uno degli agenti mi ha detto di sedermi qua, che non potevo andarmene. Che devo fare ancora?! Ho firmato quello che volevi, perchè non posso andare a casa ancora?»

Si lamentò ancora e ancora, mentre la donna immaginava di potergli sparare in bocca per zittirlo, lo ignorò, senza rispondere alle sue domande e si mise a ricopiare quello che aveva scritto nel taccuino durante la notte insonne sulla lavagna bianca, per averlo sott’occhio. L’uomo si zittì e la guardò con attenzione, incuriosito.

La donna rimase a fissare la lavagna, ripetendo dentro di sè le parole scritte, non fece caso al fatto che Imper si fosse alzato dalla sedia, per leggere quanto fosse scritto, prendere il pennarello rosso e cominciare ad appuntare qualcosa.

Sara stava per uscire fuori di testa e urlargli contro, ma si fermò, sorpresa da ciò che l’uomo stesse aggiungendo, anche se alcune cose non riusciva a capirle, aveva compreso che erano comunque nomi di liquori.

«Come fa a ricordare chi ha bevuto cosa? E a cosa ci servirebbe?» Chiese la donna, indecisa se essere sorpresa o seccata. 

«Ricordo sempre cosa bevono le belle signorine! È il minimo che possa fare! A parte ciò, è perchè avevo controllato le loro carte d’identità e avevano sempre tutti nomi strani e sembravano più piccole di quanti anni avessero in realtà. E poi… beh, Jackie che prende Jack, ricordo anche di averle detto una battuta in merito, facendola ridere» sorrise soddisfatto il barman, mentre posava il pennarello, ma sussultò quando la poliziotta sbattè il pugno sulla scrivania, urlando: «Ecco cos’era! I nomi! Sono tutte straniere! Come ho fatto a non capirlo prima?» e si precipitò a cercare fra i vari fogli che invadevano il suo piano di lavoro, finchè non trovò ciò che cercava.

«Bene… Si! Ecco qua, ogni vittima era straniera, tutte studentesse venute in Italia per il programma “Scambi Culturali”. Maledizione! Chi ha diavolo avvertito i genitori delle vittime!?»

Un agente, alla domanda posta da Sara, scattò in piedi e alzò la mano, mormorando a bassa voce che era stato lui ad avvertire ogni famiglia. Gli altri della squadra si alzarono in contemporanea e uscirono fuori, come fossero improvvisamente impegnati.

«… Tu, fra tutti gli agenti!? E perchè non ho ricevuto alcun rapporto al riguardo? Ti avevo detto di farmi sapere ogni minimo passo che fai, incompetente che non sei altro!»

Sbraitò la poliziotta, ormai la pazienza sembrava non essere mai esistita in lei, dopo aver finito di urlare si sedette, massaggiandosi la fronte, l’agente appena rimproverato aveva la testa completamente abbassata, sembrava pure sul punto di piangere.

Il barman era sorpreso, si avvicinò velocemente all’agente, dandogli delle pacche sulla testa: «Ehi, ehi, piccolo agentino, non piangere, su, non fare così, la dottò oggi è nervosa a quanto pare, e tu lo sai meglio di me, no? Dai, non piangere!»

Il ragazzo alzò la testa, guardandolo con occhi lucidi: «P-piccolo agentino?»

«Si! Non ti piace? Ho sentito che ogni tanto ti chiamano novellino! Come ti chiami?»

«M-Mark…»

«Voi due, avete finito di fare spettacolo?» Chiese freddamente Sara, mentre li fulminava con lo sguardo, aveva nel frattempo scritto sulla lavagna da quali Paesi venissero le vittime. «Smith, vada a chiamare gli altri.» e il novellino scattò verso l’uscita urlando un “Si capo!” come risposta.

Il barman sbarrò gli occhi, leggendo i nomi dei Paesi, gli sembravano troppo familiari, si avvicinò alla lavagna, una mano sul mento mentre rifletteva.

Sara roteò gli occhi: «Imper Augusti, non si sforzi troppo ad usare la testa, non la voglio come collaboratore, per cui può anche andare a c…»

Ma il barman non stette ad ascoltarla, anzi, le parlò sopra, esclamando: «Ecco perchè mi sono familiari! Sono tutti posti in cui il mio amico, cioè il proprietario del locale, è andato per lavoro quest’anno! Eh, eh, che strana coincidenza!»

La caposquadra guardò dapprima l’uomo e poi la lavagna, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente: «Non avevi detto per caso che il tuo amico è sempre fuori? Quand’è stata l’ultima volta che l’hai visto? Ti dice sempre dove va?»

«P-perchè questo interrogatorio?»

«Andiamo nel tuo locale!» Prese la giacca e la pistola dal cassetto della scrivania facendo sussultare Imper, che si allontanò istintivamente da lei.

«Ehm… adesso? Non ho le chiavi…»

«Allora significa che passeremo prima da casa tua e poi andremo nel locale, d’accordo?» disse cercando di restare calma e lucida, nel frattempo si avvicinò Smith, che si era sciacquato il viso e stava tendendo dei fogli alla caposquadra, mormorando sottovoce: «Ho… chiamato gli altri… e… i-il rapporto, capo.»

Sara prese il rapporto, spucciandolo velocemente, era sempre più sorpresa da ciò che apprendeva da quei fogli: i genitori di tutte le vittime, non appena venivano a conoscenza della notizia riguardo le loro figlie, rispondevano con un secco “non ci interessa” e chiudevano la chiamata.

A quanto pare i loro rapporti erano inesistenti, ragazze cresciute da sole, se ne erano andate via di casa non appena avevano potuto, chi a 16, chi a 18.

«Che assurdità è mai questa? Quante possibilità ci sono che delle ragazze in questa situazione vengano in questa città, nello stesso periodo per giunta? Smith, ora cercami i progetti a cui stavano partecipando le ragazze per essere qui, fallo insieme a Lee.» Sara lanciò uno sguardo di minaccia all’altro agente, che sembrava essere impegnato in qualche cosa di importante al computer, anche se in sottofondo si poteva chiaramente sentire la musichetta di un videogioco. «Fatemeli avere entro dopo pranzo, o vi ridurrò lo stipendio. Andiamo Augusti.»

E trascinò via con sè il barman, senza lasciarlo parlare o salutare, mentre il nerd Lee cominciò a lamentarsi e implorando sul fatto che stava per finire una quest, ma la donna ormai era già fuori insieme ad Imper.

Arrivati a casa di lui, recuperarono le chiavi ma ci fu un contrattempo, mentre stavano andando verso il locale, furono bloccati da due tizi grossi e vestiti di nero. Una voce si levò alta e decisa da dietro i due omoni: «Ahi, ahi, cosa avevo detto? Di non dire nulla, eppure… eccoti con la bella poliziotta.»

Era il signor Hia, colui che aveva organizzato la serata fuori programma nel locale.

«Lo conosci?» chiese dubbiosa e infastidita la poliziotta, era incazzata per come quel bruto l’aveva chiamata.

«Ehm… è quello che ha dato la festa, quella di ieri… dove la Zedda Piras aveva partecipato.»

«Zedda Piras?» Chiesero all’unisono sia Sara che il signor Hia, confusi, si guardarono infastiditi per aver detto la stessa cosa.

«Barman, non ti avevo detto di non collaborare?»

«Perchè non mi hai detto che eri invischiato in questi affari? Così potevo arrestarti e toglierti di mezzo.»

Parlarono ad Imper uno sopra l’altra, come se facessero a gara per poterselo aggiudicare, o toglierselo di torno.

«Ehi! Ma che sono? Il premio di consolazione? Accidenti… non volevo nè collaborare nè tantomeno finire nei guai! Ma cosa ho mai fatto nella mia vita precedente? Io volevo solo lavorare tranquillamente in un bar…»

Il capo della squadra mobile pose lentamente una mano sulla pistola, riposta nella fondina, e guardò negli occhi l’uomo che li stava minacciando: «Potrei sapere con chi ho il piacere di parlare?»

«Oh, non mi sono ancora presentato? Il mio nome  è Geronimo Sentol, gestisco una delle associazioni navali del nostro Paese» e tese un biglietto da visita, indossando un sorriso da commerciante.

Per poco il barman non scoppiò a ridere, sentendo il falso nome con cui si era presentato, somigliava così tanto a quello dei libri per bambini, Geronimo Stilton, ma cercò di trattenersi, lanciando uno sguardo ai due omoni minacciosi.

Sara rimase impassibile e prese il biglietto, leggendolo con attenzione, levò la mano dalla pistola: «Dunque, signor Geronimo Sentol, vorrei chiederle il motivo per cui abbia mandato due energumeni uomini a fermarci. Può rispondere?»

L’uomo fece un cenno agli uomini, ordinando loro di spostarsi.

«Oh, ero solo preoccupato per il mio carissimo amico barman. Ero venuto per vedere se stesse bene, in fondo… ha lavorato molto ieri sera.» Sorrise caparbio, mentre si girava l’anello attorno al pollice, lo sguardo fisso sulla donna.

«Vedo che andate molto d’accordo, un barman e una poliziotta. Mi chiedo quali siano gli affari che avete in comune. Se posso chiedere, ovviamente.»

Sara portò il braccio sulle spalle di Imper, stringendolo a sè, ridendo, anche se stava chiaramente fingendo.

«Siamo amici da molto tempo, da quando eravamo piccoli. Non si vede? Ora scusaci, ma abbiamo da fare, vero Aug… Imper?»

«Imper…? Oh… si, certo, dottò, cioè, Sara! Noi andiamo allora, arrivederci signor Hi… Sentol! Eh, eh…» rise nervoso, mentre aveva addosso due sguardi infuriati. 

La donna a quel punto si portò via Imper, trascinandolo di peso, e l’uomo che voleva minacciarlo rimase sul posto, a guardarli, mentre assottigliava gli occhi, infastidito.

Sara bisbigliò sottovoce: «Cosa diavolo hai combinato, Augusti, da finire invischiato con quel tipo? Tsk, non mi sei mai piaciuto fin dall’inizio.»

«Perchè pensi sempre sia mia la colpa?! Io non c’entro nulla, è solo uno degli amici del mio capo, non mio! Ceh, non volevo manco accettare quei contanti che mi aveva dato ieri sera!»

«Contanti? Ne parleremo meglio dopo. Ora apri ‘sto locale.» Tagliò corto la donna, decidendo che appena tornata in ufficio avrebbe incaricato Benedetti ad indagare sull’uomo.

Casi per caso

Casi per caso

Stato: In corso Tipo: Autore: Rilascio: 2023
Un semplice barman rimane invischiato in un caso di omicidio, venendo accusato anche se innocente. Aveva cercato di sfuggire al proprio destino, ma come si sa, nessuno può evitarlo. Casi intriganti e sanguinose bussano alla porta del suo locale "King Yellow", obbligandolo a collaborare con la Squadra Mobili, nonostante gli sforzi di Imper, il barman, di evitarli. Sara Caruso, una poliziotta che cerca a tutti i costi la verità celata dietro alle indagini, non accetta la presenza di Imper, giudicandolo incapace e incompetente. I casi verranno risolti, o resteranno per sempre senza un colpevole?
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