[N]
Il dolce tepore del sole autunnale dona sollievo dal freddo che di recente ha preso a farsi più pungente. È una di quelle giornate in cui io e Lucia di solito decidiamo di passare nel nostro parco preferito; avremmo parlato, riso, riposato, insomma, ci saremmo goduti la giornata.
Eppure perché? Perché, tra tutti i posti, siamo finiti qua?
Davanti ai miei occhi vi è una rete metallica a maglie sciolte simile a quella che delimita i parchi. Questa tuttavia, oltre ad essere di un colore grigio polvere, fa da confine alla discarica comunale. Esatto: una discarica. Da non crederci.
“Lucia, ricordami perché siamo qua”
In realtà lo so benissimo, ma ho bisogno che me lo dica ancora.
Lei si volta, mi guarda e con un sorriso si limita a dire:
“Perché sento che qua troveremo qualcosa di speciale”
Poi con dei movimenti agili scavalca la rete e atterra con la grazia di un ballerina. Sospiro. Lucia è sempre stata così, una ragazza piena di vita; ogni volta che le passa per la testa un’idea, per quanto bizzarra o impossibile possa essere, lei si impunta e si impegna al massimo per realizzarla. Rassegnato mi limito a seguirla, scavalco a mia volta ma il mio atterraggio è molto meno elegante, più che una ballerina sembro un giocatore di rugby nel momento del touch down.
[L]
Trattengo un sorriso, sarebbe poco educato nei confronti di Nox. La goffaggine che ogni tanto mostra in mia presenza è una di quelle cose che mi piacciono di lui. Lo osservo mentre si rimette in piedi e si leva lo sporco dai vestiti. È qualche centimetro più alto di me, indossa ancora la divisa scolastica estiva e i suoi capelli castani mi ricordano il colore delle castagne che in questo periodo vengono arrostite per strada. Dopo essersi assicurato di non avere più nessun residuo di sporco mi guarda imbarazzato. I nostri sguardi si incrociano e in men che non si dica mi ritrovo in una foresta; i suoi occhi verdi e i suoi capelli mi hanno sempre fatto questo effetto e per questo ho imparato a guardare un punto in mezzo alla sua fronte quando devo parlargli a scuola.
“Quindi? Che si fa?”
La sua voce mi riporta alla realtà. Senza dire una parola mi giro e mi incammino verso quella che mi sembra la fonte di quella strana sensazione che mi ha condotto qui. Dietro di me sento i passi di Nox. Sorrido. Un’altra delle cose che mi piace di lui è la sua capacità di seguirmi e fidarsi nonostante io faccia cose che non comprende benissimo.
[N]
Non so da quanto stiamo camminando ma il mio naso si è già abituato al tanfo della discarica. In giro c’è di tutto, da poltrone malmesse a televisori rotti. Né io né Lucia parliamo e così gli unici suoni presenti sono quelli dei nostri passi e in lontananza quello dei camion che periodicamente vengono a scaricare i rifiuti. Vengo scosso da un brivido quando un topo sfreccia davanti ai miei piedi, lo seguo con lo sguardo ma in un battito di ciglia l’ho già perso tra le varie montagne di rifiuti. A causa di questa distrazione per poco non vado addosso a Lucia che per qualche strano motivo si è fermata e guarda con un po’ di disgusto davanti a sé. Provo a guardare meglio ma niente, l’unica cosa che vedo è spazzatura. Lei dopo qualche momento di esitazione si china e si mette a rovistare.
È impazzita, non c’è altra spiegazione
“Lucy, fermati. Cosa stai facendo? Così ti sporcherai e basta”
Provo a fermarla ma lei si divincola dalla mia presa e con un tono severo mi riprende
“Se non vuoi aiutarmi almeno non intralciarmi”
Mentre lei riprende a scavare rimango in piedi, scombussolato da tutta questa assurda situazione.
Al diavolo tutto! Se bisogna impazzire tanto vale farlo in due almeno
In silenzio, seppur con un minimo di riluttanza, mi chino di fianco a lei e comincio ad aiutarla. Con la coda dell’occhio noto che sul suo viso è apparso un lieve sorriso. Continuiamo così finché da tutto quell’ammasso di inutilità sbuca fuori una lampada ad olio orientale dorata, di quelle che vedi nei film di fantasia. Lucia la afferra e con delicatezza la strofina. Un velo di fitta nebbia inizia ad uscire dalla lampada impedendomi di vedere al di là del mio naso. D’istinto prendo la mano di Lucia, per assicurarmi di non perderla. Non dura per molto e la foschia finisce per diradarsi con la stessa rapidità con cui è apparsa. Ciò che si presenta di fronte ai miei occhi è così sorprendente che dalla mia bocca esce solo una parola:
“Cazzo”