“E tu Elf, dimmelo… Qual è il tuo compito?”
Il mio compito… Le parole di Rose mi lasciano inevitabilmente interdetta. Fino a ieri il mio compito lo conoscevo molto bene. Sopravvivere.
Era un compito che da sei mesi a questa parte cercavo di adempiere ogni singolo giorno aggrappandomi alla speranza di ogni piccolo mio miglioramento. Con le unghie, con i denti.
Le terapie, i trattamenti, la sofferenza fisica mia e dei miei cari ormai straziati dall’idea che lentamente e inesorabilmente mi sarei spento davanti ai loro occhi, mi trascinava progressivamente a perdere le speranze. Ma io resistevo. A volte le fitte erano talmente lancinanti che avrei voluto morire all’istante.
Per riuscire ad abbozzare un sorriso davanti ai miei figli io assolvevo stoico al mio compito. Sopravvivevo.
Sopravvivevo per riuscire a dar loro un altro di quei sorrisi, e forse, l’indomani, un altro ancora. La piccola fiamma di speranza che in quel momento si accendeva nei loro occhi alimentava l’ardere del mio voler restare disperatamente aggrappato alla vita.
Oramai più per loro, che per me.
Il mio sguardo ora è in quello di Rose. Mi fissa talmente intensamente che sembra spingersi fino al profondo della mia anima. In questo momento però non mi importa di nulla.
I miei pensieri vanno a mia figlia, mio figlio, mia moglie. Mi sovvengono i loro volti sorridenti, un anno fa, durante la consueta cena serale. Il nostro momento di pace dopo il lavoro, la scuola, lo studio.
Il magone allo stomaco mi sale fino alla gola. Gli occhi mi si annacquano.
«Vivere… Vivere! Vivereeee!!!»
L’ urlo disperato mi esce dal profondo delle viscere come se il me bloccato in un letto di ospedale, intravedendo uno spiraglio di vita, si fosse improvvisamente svegliato risucchiandomi quel briciolo di energia necessaria a quell’ultimo disperato grido. La lama mi graffia il collo. I ricordi si sono sovrapposti al presente facendomi dimenticare per un istante che ho un coltello alla gola. Non ha importanza, socchiudo gli occhi e mi scivolano le poche lacrime che ancora ho.
Rose è ancora immobile, continua a fissarmi. Nei suoi occhi però non traspare più quell’infuocato ardore di rabbia. Ora mi guarda, forse commiserevole, come si guarderebbe un guscio vuoto.
La tensione sul braccio un po’ si attenua. Rose inizia ad allentare la presa.
«Miaooowrrr!!! Mi avevi promesso di non farle del male! Lasciala! Lasciala!» Liz, dal nulla, le salta in groppa. Sbattendole i pugni sulla testa dà vita ad una scenetta che risulta più dolce che risolutiva. A suo modo sta sfidando Rose per proteggermi. Questo mi commuove e le sono infinitamente grata, ma è palese che non servirà a nulla, siamo entrambe inermi davanti a questa maestosa e fiera guerriera.
Rose non si scompone, ma qualcosa in lei è cambiato, si sta calmando. Ora sembra più assorta a rimuginare su qualcosa. Finalmente mi lascia il braccio e abbassa il coltello. Io arretro barcollando di qualche metro per poi cadere a terra, sfinita, esausta.
Ho lo sguardo fisso su Rose, ma non la sto guardando. La mia espressione è vuota, assente, quella di un condannato a morte che cammina sul patibolo ed è ormai rassegnato al suo destino.
Nelle lunghe notti passate a fissare il soffitto, attaccato ad una macchina, ho pregato di morire innumerevoli volte, ma per non far soffrire i miei cari ho sempre sperato che non accadesse. Ora ne ho più che abbastanza di questo mondo, sono ferita, rassegnata, svuotata di tutto. Spero che Rose la faccia finita e mi freddi velocemente. Dentro di me però, questa volta, prego con tutta me stessa che non lo faccia: voglio vivere, egoisticamente, per me, per nessun altro. Negli ultimi sei mesi non l’ho mai desiderato tanto.
Rose alza un braccio e agguanta Liz da dietro il collo, se la scrolla di dosso proprio come farebbe con un gattino fastidioso. Lei atterra a pochi passi da me, in piedi, agile come un felino. Trema dalla rabbia ma resta immobile, è terrorizzata, non posso certo biasimarla.
Rose estrae la spada. Tendendo il braccio teso me la punta dritta alla gola. Eccolo, è giunto il momento.
Sono pronto. Non chiudo nemmeno gli occhi, steso in quel letto d’ospedale, ho già visto la morte in faccia decine di volte.
«Svelta, alzati. Fra cinque minuti partiamo! Visto che da adesso mi toccherà farti da balia, vedi di non farmi aspettare ragazzina!»
Dicendo così ripone la spada, si gira e, dandomi le spalle, fa qualche passo in avanti. Resta poi ferma ad aspettare con le braccia incrociate e l’espressione di chi non sa dove guardare.
Non ne sono totalmente sicura ma ho come l’impressione di essere stata appena salvata da un inaspettato risvolto tsundere…
Liz si lascia cadere all’indietro e si siede a terra, alzando lo sguardo al cielo fa un profondissimo sospiro, mi guarda e sorride inclinando leggermente la testa.
«Elf, siamo vive… Sono contenta!»
Scoppio nuovamente a piangere ma non ho più lacrime da versare, emetto solo un’imbarazzante forma di muggito. Siamo ancora vive, è vero, ma di questo passo, soprattutto io, non so ancora per quanto!
Appena realizzato che Rose probabilmente non mi farà fuori, almeno nel breve periodo, mi alzo. Sono ancora frastornata da tutto quello che sta succedendo e dalla velocità con cui gli eventi si susseguono… Per ora non penso ci sia un’opzione migliore che seguirla, anche alla luce del fatto che ora non ci sono più dubbi: sono un’arma di distruzione di massa con l’innesco difettoso.
Dovrò innanzitutto cercare di controllare questo strano istinto che mi manda in trance in modo da non essere una mina vagante pronta a scoppiare in qualsiasi momento.
«Rose, sono pronta… Dove andiamo?»
«Alla Gilda degli avventurieri della città. Il direttore è uno degli elfi più anziani del territorio, un mio carissimo amico… Forse lui potrà darci qualche informazione in più sul tuo conto. Spero di non pentirmi di averti lasciato in vita, non ho un buon presentimento su tutta questa storia…»
Tendo la mano a Liz per farla alzare, lei la afferra e si dà una sistemata veloce. Si dirige poi verso il fagotto con tutte le cianfrusaglie trafugate ed inizia a radunarle.
«Ehi, gatta! Che stai facendo? Tutte quelle cose hanno chiaramente ancora l’impronta magica dei loro proprietari. Vuoi farti arrestare? E poi… Non mi pare di averti detto che puoi venire anche tu, mi è già di peso lei, non ho intenzione di portarmi dietro anche il suo animale domestico!»
Stringendo forte al petto il suo fagotto manco fosse il più prezioso dei tesori, Liz si volta verso di me, guardandomi con gli occhioni lucidi e l’espressione di un cucciolo che sta per essere abbandonato.
Non so cosa mi ha spinto in così poco tempo ad affezionarmi tanto a lei, sarà che in neppure due giorni passati assieme, ne abbiamo passate di tutti i colori, ma di una cosa sono certa: non la lascerei mai sola per nessun motivo al mondo!
«Rose, Liz viene con noi!» Appena pronunciate queste parole mi rendo conto che la mia posizione non permette certo di impartire ordini o fare richieste, soprattutto a Rose!
«Cioè… Sarebbe meglio se venisse… Quando sono con lei mi sento a mio agio, penso che la sua presenza mi aiuti anche a non perdere il controllo… Si insomma, guardala… È troppo carina ed indifesa, come possiamo abbandonarla qui da sola?»
Rose mi guarda con l’aria di sufficienza di chi sta perdendo la pazienza ma si trattiene, poi sbuffando inaspettatamente me la dà vinta.
«Che scocciatura… E va bene, portatela dietro ma sia chiaro: io non ne voglio sapere, badaci te a lei!»
E con questo un mistero è definitivamente risolto: Rose è una tsundere!!!
Liz rapidamente lascia tutto ben nascosto dietro ad una roccia all’inizio del crinale, accanto a dove la cascatella alimenta il laghetto, e poi, zompettando felice, mi raggiunge.
Ci abbracciamo felici, possiamo restare ancora insieme.
Prima di avviarci, Rose mi concede di raccogliere il coltello. L’impronta magica impressa quando l’ho equipaggiato ha sovrascritto completamente quella del proprietario precedente e quindi a tutti gli effetti può essere considerato mio. Visti gli ultimi avvenimenti non si può certo definire questo posto un luogo sicuro, quindi accetto di buon grado il fatto che Rose si arrischi ad affidarmi un’arma. Oltretutto io e quel coltello, ormai, ne abbiamo viste talmente tante che provo una sorta di empatia per lui.
Lo raccolgo e faccio subito una prova. Ricordando la lezione di Liz sull’equipaggiare il vestiario, prendo la cinta di cuoio da uno dei cadaveri, a lui non serve più, me la lego al polpaccio e provo a pensare ad un fodero tipo quelli che ho sempre visto ai sub. Mi concentro e cerco di far defluire un po’ di potere magico. La cinghia subito si accende di un bagliore accecante. In un istante è diventata uno stupendo fodero da polpaccio! Molto bene, inizio a prenderci la mano!
Rose da lontano mi osserva durante tutto il processo con l’aria di chi tenta di fare l’indifferente ma alla fine si porta la mano al volto e borbotta qualcosa del tipo «Lo sapevo… Me ne pentirò!».
La marcia inizia, ci avviamo verso il limite dell’oasi dove ha inizio il fitto della foresta. Percorriamo a ritroso lo stesso percorso dell’andata, Liz ci precede visto che sembra conoscere molto bene la zona. Usciamo dalla foresta senza intoppi, ripercorriamo la stradina di ciottoli fino al ponticello per poi rientrare nel vicolo dove sono apparsa.
«Rose, non sarebbe meglio fare una strada diversa? Qui è dove ieri è successo il finimondo…»
«Tranquilla, quei tre tizi erano ben conosciuti in città… Non penso che nessuno si farà troppe domande su chi gli ha fatto la pelle. Era solo questione di tempo prima che qualcuno per vendicarsi li facesse fuori.»
Proseguiamo per arrivare dove tutto è iniziato. I corpi erano stati già rimossi, le chiazze marroni del sangue secco però sono ancora ben visibili sulla strada. Liz va verso la prima, si avvicina lentamente con uno sguardo alquanto inquietante. Arrivataci davanti viene presa da uno strano tremore ma resta immobile fissando a terra. Probabilmente sta ricordando i momenti in cui era alla loro mercé. Improvvisamente ci salta sopra, inizia a sbattere i piedi, si ferma nuovamente. Fa un sorriso malefico, sputa a terra.
Soddisfatta zompetta felice verso di noi.
Vedendo la scena a Rose scappa una risata. Il tenero peluche ci ha appena mostrato un lato oscuro.
Dopo essersi ricomposta, Rose si dirige verso i grossi contenitori che avevano nascosto il mio “arrivo”. Il ritornare in quel luogo, dove tutto ha avuto inizio mi provoca una strana sensazione. Più mi avvicino più mi sale il senso di angoscia e una sorta di stretta allo stomaco.
«Avevo già ispezionato ieri il posto dove sei apparsa, ma un’altra occhiata non guasta…»
Rose va dietro ai grandi contenitori e osserva scrupolosamente ogni centimetro dello spazio circostante.
«Nulla… Qui non c’è niente che possa aiutarci a capire come sei arrivata qui. Neppure un piccolo residuo di forza magica, il che è molto strano…»
Il fetore vicino ai contenitori è veramente insopportabile, non si riesce a vederne l’interno ma sembrano degli enormi raccoglitori per i rifiuti. Vado dietro, proprio dove sono apparsa. A terra ancora si scorgono i segni del mio trascinarmi verso il muro. Il senso di angoscia si fa sempre più forte, l’olezzo pure, mi sento soffocare. Più inspiro e meno ossigeno mi sembra di respirare. Arranco, inizia a girarmi la testa. Vedo tutto nero.
In un istante mi trovo attorniata dal nulla. È sparito tutto, resta solo il buio, il vuoto e una schiacciante sensazione di oppressione. Distante ed ovattato sento il bip del monitor cardiaco. Un sussulto e sono davanti ad un letto d’ospedale.
Non distinguo l’uomo steso in quel letto, ma so di per certo che sono io, i rumori dentro a quella stanza sono smorzati, però li riconosco fin troppo bene. E’ tutto così reale ma allo stesso tempo ho l’impressione di sognare.
Cosa sta succedendo? Perché sono davanti a me stesso? Non sono morto? Qual è la realtà? Elf è solo l’ultimo delirio di una mente dentro un corpo che si sta lentamente spegnendo?
Mi guardo le mani, sono quelle di Elf e le sento dannatamente reali. Dalla spalla mi scende la lunga treccia verde, ne sento il peso, non è un sogno. All’improvviso avverto una strana pressione alla gola, un freddo bruciore al collo.
L’uomo sul letto apre lentamente gli occhi, sono spenti, senza più un briciolo di speranza o voglia di vivere. Tremolante alza a fatica un braccio, sento che me lo sta porgendo alla disperata ricerca di conforto, brama nel mio sguardo una ragione per resistere ancora. Istintivamente faccio per prendergli la mano… Nuovamente il buio. Il nulla. Un’altro sussulto e tutto torna a scorrere.
«Elf!… Elf!… Riprenditi!!!»
La voce spaventata di Liz mi riporta al presente. Sono immobile, in piedi, ho Liz aggrappata ad una gamba che urla e la spada di Rose puntata alla gola.
«Ro… Rose! Ma che succede? Che stai facendo?»
«Ragazzina, altri cinque secondi con quell’espressione in faccia e ti facevo volare la testa!»