«Ohi. Perché sei di nuovo qui? Forse… Mi hai già portato ciò che tu sai?» concluse con uno sguardo sospettoso, non voleva farsi sentire. «Mh? Ah, intende quello. No, ma le pare? Me lo ha commissionato ieri, quando mi ha mandato qui la professoressa di inglese, non sono così veloce»
«Tsk. Allora smetti di far arrabbiare i professori e comincia ad ascoltarli» si passò le mani nei capelli, giocandoci. Dopo aver ascoltato ciò che dissi al professore poco fa, passò dal giocarci al volerseli strappare. Cominciò a guardarmi come se volesse farmi fuori, non avevo mai visto così tanta furia omicida fuoriuscire da una vecchietta del genere.
Che paura
Mi misi sull’attenti, sembravo un militare pronto alla sua esecuzione pubblica per aver creduto di avere libertà di pensiero.
«Non capisco perché tu faccia così» – si placò – «Sei intelligente, aiuti sempre gli altri, non hai bisogno di studiare per fare i test»
Abbassai lo sguardo.
So che vuole elogiarmi, a suo modo. Ma non riesco a vedere altro che parole di finto conforto: le classiche paroline dolci che usiamo verso quell’individuo che soffre per un problema. Lo compatiamo? Certo, è ovvio. Aiutiamo a risolverlo? Ma ti pare?
«Che posso dire, mi dispiace»
«Lo sai vero che io qui ci lavoro? Non ho tempo per i tuoi discorsi da pesce fuor d’acqua, anche se un po’ ci somigli… Forse una trota?»
Merda, sembro così brutto? Ma poi detto da una mummia come lei. Nah, sarà una battuta… Vero?
Provai a ridere a quella battuta uscita dai migliori show degli anni ’90… peccato che trasformò la professoressa in un feroce orso intento a cacciare un bel salmone. Infatti, smisi subito, temevo per la mia vita.
«Uff… Cosa devo fare con te» Preparò tutto il necessario alla costruzione della sigaretta perfetta, sembrava ne avesse davvero bisogno. Con quei piccoli movimenti che distinguevano il suo esser donna, stese la cartina come un velo, due pizzichi di tabacco, e, ciliegina sulla torta, il filtro.
Notai un leggero sorrisino sul viso della professoressa.
«Professoressa Morel, sono contento che la mia inutilità le faccia così ridere» Provai a ridere anche io, ma non essendo abituato, mi uscì un grugnito. Sembravo un cinghiale pugnalato che provava a difendere i suoi diritti di essere vivente. Quel suo sorrisino, tagliente come una lama giapponese trattata gelosamente dal suo samurai, poteva significare solo una cosa, esatto.
«Oda~ punizione~»
Tsk, lo sapevo
Perché devo beccarmi una punizione per questa buffonata… Come se poi a qualcuno interessasse davvero il fatto che io non studi robe successe secoli fa.
Riuscii finalmente ad allontanarmi dalla sala ricevimento professori, l’inferno a cui ero costretto a partecipare almeno 2 volte a settimana. Alla fin fine, la Morel non aveva tutti i torti. Il mondo non era certo tutto rosa e fiori, qualche tulipano poteva esistere anche all’inferno… Solo che io avevo trovato al massimo una zinnia secca. Parlando di inferno ecco che se ne presentò un altro: la classe. Forse il primo esempio datoci dalla società per fare tesoro del concetto di condivisione degli obbiettivi e valori.
Quasi quasi preferivo la Morel a questa accozzaglia di tronchi vuoti, che basano la loro esistenza sull’uscire il sabato sera e piangere quando prendono un brutto voto.
Una volta tornato in classe, letteralmente nessuno si accorse della mia assenza, nemmeno i muri. Fu una vittoria assoluta, studiai anni per perfezionare una tale tecnica, la chiamai… Tecnica della non-percezione! «Oda? Com’è andata? Sei rimasto più del solito, devo preoccuparmi?» parole rincuoranti, se non fossero da parte di Mikael, mio unico amico in questo crudele mondo.
«Certo che devi, sono stato così lodato dalla professoressa Morel, mh mh, è così, sì» Mikael mi fissò, davvero intensamente…
«Nah non è vero, hai fatto semplicemente più schifo del solito!» chiuse il siparietto con una bella risata, sapeva di aver ragione. Fissando il vuoto, un pensiero mi sorse…
Tutto sommato la Morel non ha tutti i torti, essere pessimista non porterà mai a nulla di buono, lo so. Certo che lo so.
«Ragazzi cominciamo, è già tardi» tutte le penne marciarono al dettato del professore.
Cercare di vedere tutto nel modo più ottimista possibile è sbagliato. Un errore umano, anzi, meglio dire un errore di chi ha sempre vissuto nel giardino protetto chiamato famiglia, senza mai aver avuto bisogno di preoccuparsi delle conseguenze.
I minuti passarono, così come i cancellini sulle lavagne, cercando di rimuovere scritte e formule che rimarranno impresse, ad alcuni in eterno e ad altri cinque eterni minuti.
L’assordante suono della campanella spezzò quel borbottio di quaderni e matite, concludendo così le lezioni.
«Oda io ti precedo, vado ad un… Ap…pun…ta…mento! Hihi» Mi salutò frettolosamente, era davvero un appuntamento importante.
Cos’è questo “hihi”? Una nuova moda? O sei per caso una bambina che vuole risultare tenera e coccolosa? Inquietante.
Rimasto solo, decisi di tornare direttamente a casa.
Finalmente, potrò guardare il nuovo episodio di-
«ODAAAAAA!» -un urlo che, probabilmente, risuonò in tutto il paese- «Oda! Caro! Menomale che sei arrivato ancor prima che potessi chiamarti! Ho un problema non da pocoo!»
Tsk, ecco, lo sapevo, se non Morel, allora è la signora De Russell, o meglio la nonna impicciona. Avrò mai 5 minuti di pace? «Buongiorno signora Russell, cosa succede?» Riprese un attimo fiato
«Siamo… Siamo… Oddio la prossima volta, vieni TU da me, brutto disgraziato… Fiù… Siamo nei guai! Siamo in ritardo con la consegna della frutta disidratata! Quella bruta di Tanya ci ha mollate all’ultimo perché aveva un appuntamento con quel bamboccione del tuo amico!»
Appuntamento…?
Riuscii a malapena a trattenere le risate.
Ben ti sta Mikael, brutto gigolò, beccati quel barbaro di Tanya.
«Mh… Ho capito, quindi conviene metterci subito a lavoro» continuai mentre ci incamminammo «Quanto stiamo messi male?» La signora guardò il cielo… Era un pessimo segnale.
«Fiuuu… Fiuuu…» stava provando a simulare un fischio, un altro bruttissimo segnale.
«Come dire, cosa dire… Stasera cosa ti va di mangiare? Cucino io!»
Eh? Ma quanto era utile questa Tanya? Era un t-90? Un mostro?
Arrivati alla casa della signora Russell, lasciai lo zaino all’ingresso, e mi rimboccai le maniche.
Pela la pesca, togli il duro nocciolo, taglia la morbida polpa in otto…
Un flashback riaffiorò nella mia mente meccanica, sì, qualcosa successo molto tempo fa.
Sei anni prima
Perché ci metti così tanto ad uscire, Rael.
Devo farlo ora! Oppure non la rivedrò mai più! Oda puoi farcela, siete amici! VAI!
Chissà, se mi dessi una mano, forse potremmo finire in tempo sai?
Cioè mi hai davvero lasciato da solo a fare il TUO lavoro!?
«Meglio muoversi…» Dopo qualche minuto e pesche pelate dopo, sentii delle voci provenire dalle scale. «Muoviti a scendere, ingrata di una nipote!»
«Tsk, arrivo»
Stavi per dire che saremo solo noi due a lavorare vero, vero?
«hai già lui, mia cara nonna, perché vuoi rompere le palle anche a me?» lo disse con un tono di voce talmente ammaliante, che a ripensarci ora, avrei voluto essere insultato anche io.
«Oh oh, mia cara disgraziata nipote, lavora o puoi scordarti la cena» La ragazza schioccò la lingua e venne a sedersi di fronte a me. La guardai senza farmi notare, non volevo essere trattato come un guardone. Aveva dei bellissimi capelli biondo cenere, era impossibile non notarli. Probabilmente stava dormendo, aveva ancora il pigiama, se così si potevano definire quella canottiera e quel pantaloncino.
Non poteva almeno farla cambiare? Cos’è sono uno di famiglia quindi non conta la mia impressione su di voi?
Si inarcò in avanti per guardarmi le mani, avevo abbastanza paura in quel momento. Non potevo alzare lo sguardo, non potevo incrociarlo con le sue due montagne, sarei morto dalla vergogna.
Ma che è, mica vuole mordermi?
«Sto vedendo come fai a pelarle, non sono capace. Non voglio morderti, chi mai vorrebbe?»
Ma cosa diavolo… Mi ha letto nel pensiero?
«No, non sono ancora capace di leggere nel pensiero» Si fermarono in contemporanea sia il coltello che il mio battito. La ragazza sorrise soddisfatta della sua burla, ci cascai in pieno. «Perché stai aiutando mia nonna con questa roba?» prese anche lei un coltello, per giocarci. Ovviamente, il lavoro spettava a me.
Ohi “nipote disgraziata” dammi una mano invece di attaccare bottone.
«Le serviva una mano, ed eccomi qui»
«Mh… Che noia»
Già.
Pelle fu recisa finemente, scoprendone il nascosto contenuto. Pesche. Perché si nascondono così? Per paura di venir rifiutate dagli altri frutti. Dovevamo mostrarci perfetti, ma nel profondo saremo sempre incompleti, pieni di emozioni, con cui si potrebbe addirittura convivere.
«Signora ho quasi finito di pulire, serve altro?» mi asciugai il sudore, fu una vera faticaccia, soprattutto Perché avevo affianco una ragazza tanto bella quanto inutile.
«Oda caro! Mi hai salvata, sul serio! Tieni, prendi questo come ringraziamento» Disse porgendomi una busta.
Ma… cos’è sta roba, “carne essiccata a prezzo scontato”? Mi prendi in giro, maledetta terminator di un’altra epoca? Tsk…
La nipote della signora mi guardò, dritto negli occhi, mi stava scavando dentro, non potevo resisterle, infatti distolsi lo sguardo.
«Abbiamo lavorato insieme, ma ancora non conosciamo il nome dell’altro, vero? Piacere, mi chiamo Real» mi sorrise. Stentavo a crederci. Non volevo crederci.
«Sono tornata da poco qui in città, sono stata via per… Credo sei anni? Piacere di conoscerti!» Il mio cuore voleva esplodere. Speravo veramente di riuscire a nascondere al meglio la fitta che mi stava attanagliando in quel momento.
R-Rael? Quella Rael? Tu sei quella Rael? Che diavolo ci fai qui, perché… No. Non può essere, non può avermi dimenticato, giusto? Perché sei qui? Vuoi di nuovo d… Distruggermi!?
«P-piacere mio, mi chiamo Oda. Ora devo proprio andare, si è fatto abbastanza tardi. Grazie ancora per la carne, non c’era bisogno, davvero»
«Oh suvvia, sei sempre così modesto! Ora puoi andare, ci vediamo in giro Oda, non stare sveglio fino a tardi, mi raccomando!»
Annuii, poi andai verso casa. Sentivo freddo, un freddo interiore, non potevo riscaldarmi. Avrei voluto che si fosse ricordata di me.
Quindi il mio amore non valeva davvero nulla?
Mi fermai un attimo. Dovevo riprendermi; feci un bel sospiro, provando invano a scacciarla dai miei pensieri.
Rael… “sono stata via 6 anni”… Forse ci sto pensando troppo…
Arrivato a casa, mi fermai a pensare lucidamente, mi ero calmato.
Non si ricorda di me, caratterialmente mi sembra diversa, non mi sembra che sei anni fa avesse una nonna, quindi siamo a tre punti a favore per la nuova Rael, giusto? GIUSTO?
Lo speravo davvero, davvero, invano.
Il giorno seguente
«Yo, mi sono appena trasferita in questa scuola, mi chiamo Rael, piacere!»
… MA STIAMO SCHERZANDO?!