«Ragazzi da oggi si unirà a noi una nuova studentessa, un vero prodigio. Ha completato il test d’ammissione nel minor tempo possibile, rispondendo correttamente a tutte le domande, è stato quasi un insulto darle solo il massimo! Prego entra!»
Una nuova studentessa? No… Non dirmi che-
Passi piumati, sorriso soddisfatto, contenta della presentazione fatta.
«Yo, mi sono appena trasferita in questa scuola, mi chiamo Rael!»
… MA STIAMO SCHERZANDO?!
Si guardò intorno. Mi riconobbe subito, ero spacciato.
«Oh, ragazzo delle pesche! Siamo nello stesso corso!»
Ma che diavolo, proprio qui dovevi capitare?Capisco che ci siano solo tre corsi di studio, ma sei un genio, scegli quello più difficile!
Girai la faccia, non volevo avere nulla a che fare con lei, ma fu una resistenza inutile. Con un saluto rivolto verso l’essere più invisibile della classe, pronunciò la mia sentenza di morte. Anche il professore mi fissò incredulo, avrà sicuramente pensando: “come tu conoscere lei? Lei dea, tu pescecane”. Un fulmine a ciel sereno mi trafisse.
«Ehm… Ciao…» feci una risatina che provai più a girare come uno scusa rivolto ai miei compagni.
«R-Rael vedo che già conosci qualcuno, perché non ti siedi vicino a Oda?»
«Certo professore!» si inchinò e venne verso di me, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, aveva sicuramente già fatto strage di due o tre cuori. Erano tutti concentrati sul suo fisico, come biasimarli? La gonna leggermente più corta del normale, la camicetta leggermente più stretta del solito… Fu quel “leggermente” a conquistare mezza classe.
Tsk, che teatrino inutile. Avrei proprio voluto vedere cosa avrebbero fatto se l’avessero vista ieri… Mh, ci avrebbero provato ancora più spudoratamente… Maledetto genere maschile pieno di sempliciotti!
Rivolsi lo sguardo alla finestra, preferivo di gran lunga la fioritura degli alberi presenti fuori la scuola.
Non parlarmi, non parlami, non parlarmi… quei fiori sono davvero bellissimi, mio dio…
Si venne a sedere, aggiustandosi la gonna.
«Che fortuna, siamo nella stessa classe. Spero andremo d’accordo!»
Ma spero proprio di no!
«Haha, s-sì lo spero anch’io…» speravo con tutte le mie forze che la smettesse di parlarmi. Notò che stavo provando a tagliare i ponti, non la prese molto bene.
«Mh? Vuoi ignorarmi? Perché vuoi ignorarmi? Ohi» mi sferrò così il suo attacco. Una mitragliatrice, non la smetteva più.
«…»
Ti prego lasciami in pace, almeno finché non avrò metabolizzato la cosa!
Cominciò a darmi anche qualche pizzicotto, senza però volermi fare male, non riuscivo a capire perché insistesse così tanto nel volere un dialogo. Provai ad accontentarla, a mio modo.
«Quindi… Come ti trovi in questa città?»
Perché devo fare domande da normie per accontentare questa vipera? Ma non dovrebbero cominciare le lezioni a questo punto?
«Tutto bene. È davverooo carina! Tipo c’è il porto pieno di romanticoni ma non è il posto più bello, a me personalmente piace molto quella specie di piazza dove si riuniscono tutti i bambini è davvero bellissima! Non ci sono molte case ma è ancora pieno di natura adoro!»
Ma non respira?
Cominciò a fare una specie di mostro con le mani che, a parer suo, doveva essere una statua… Statua che in tutti quegli anni non avevo mai visto.
Se la faccio scatenare ora, starà zitta per il resto della lezione vero? VERO?
«Hey mi stai ascoltando? O hai ancora le pesche in testa?»
«Sì, sono semplicemente stupito. Hai visitato ogni angolo di questa città in pochissimi giorni» decisi di darle corda, non che avessi tanta scelta, il professore non aveva voglia di fare lezione. Ero vincolato al parlarle.
«Più che altro sono andata a visitare i luoghi della mia infanzia, tipo il tempio non c’è più, ci sono rimasta malissimo! Ci andavo praticamente ogni giorno!»
Risi ironicamente, non potevo fare altro. Era davvero difficile trattenermi dal chiederle conferma di quel giorno, ma non potevo. Non potevo permettermi di farle ricordare, sarebbe stato troppo traumatico dover affrontare di nuovo quel maledetto sentimento di solitudine logorante.Ti mangia lentamente, sfiancandoti, distruggendoti. Non riesci più a fidarti degli altri, cominci a provare odio verso il mondo intero. Ti addormenti, cullato nelle silenziose braccia dell’emarginazione.
«Ora che ti guardo meglio… Perché non ti tagli i capelli? Sembri un cespuglio appassito»
Heyla? Potresti non insultare il ragazzo che ieri ha aiutato tua nonna? Grazie~
Ovviamente, mi limitai a pensarlo, non ebbi il coraggio di dirglielo, ero un vigliacco. Lo sono sempre stato. Mi stava scoppiando la testa. Feci un sorrisino sperando di chiudere il discorso, ogni sua parola risvegliava in me un ricordo che ero riuscito a dimenticare, o meglio dire, archiviare.
Perché mi sta capitando questo…
Incrociai le braccia sul banco, poggiandoci la testa, avevo bisogno di una piccola pausa.
Non sono così forte da dire la mia, pensa affrontare la ragazza che mi ha ridotto al recluso sociale che sono… Non credo di sentirmi tanto bene
A peggiorare la situazione, c’era l’orgoglio, che mi impediva di lamentarmi del dolore, doppia sofferenza. La lezione era appena cominciata e già non vedevo l’ora di andarmene.
Non credo di aver fatto nulla di male ultimamente… Quindi Dio, perché? Perché devo subirmi questa maledetta oca bionda?
«Grazie per ieri, senza di te probabilmente non ce l’avremmo mai fatta» sussurrò mentre guardava la lavagna.
Rimasi scioccato. Non potevo accettare quei complimenti, non da lei. Dovevo prendere le distanze, finché ero ancora in tempo… Fu completamente inutile.
«N-non c’è di che. Se mai servirà altro ci sono sempre»
Perché lo dissi?
Ma che diavolo ho appena detto… Oda allora sei stupido eh!? Mh, sei proprio stupido eh!?
Era più forte di me… Come potevo combattere il me stesso che si ucciderebbe per uno sconosciuto? Mai affrontato mistero più grande.
Era un nodo al cuore, non potevo non dare una mano al prossimo, che poi la pensassi diversamente, non era un problema, ciò che contava era aiutarla, non giudicarla.
Sono davvero pietoso, perché mi tratto così male per gli altri…?
Le penne fecero il loro lavoro, provando invane a raccogliere in un bicchiere d’acqua quale il quaderno, tutte le informazioni scritte sulla lavagna. Ogni tanto mi capitava di guardarla, esatto, cadevo anche io nella sua trappola, ma solo ogni tanto. Cioè, era ad esattamente 15 centimetri dal mio braccio, era una sfida troppo ardua per me.
Appunti puliti, sguardo serio… Ma quindi sei davvero una cervellona? Rael… Il quesito è semplice: sei tu la Rael che mi rifiutò anni fa? Ah sì? Sei proprio tu? Ciao spero tu muoia male! Certo, cosa sono, l’antagonista più scrauso di sempre?
Eravamo arrivati ad un punto di riflessione di gruppo, in cui ognuno esprimeva il suo parere sull’argomento trattato, domande e anche approfondimenti, tradotto: il momento più noioso della lezione. Solitamente lo passavo scarabocchiando sul quaderno. Lo feci così tante volte che ormai ero diventato un artista di strada, dipingevo quel bianco quaderno di splendidi disegni, con l’intento di riempirlo. Più ne facevo, più mi sembrava vuoto.
Alla fine mi limitavo a copiare le immagini, non era nulla di veramente mio, un copia e incolla senza emozioni. Mentre ero concentrato a disegnare dei fiori di cui mi sfuggiva il nome, una matita si avvicinò, cominciando a disegnare fiori in modo bambinesco.
Eh?
Mi girai, era Rael. Anche lei non ne poteva più di sentire quelle inutili frasi fatte. Incrociammo lo sguardo… Mi sorrise. Mi sentivo bloccato, quasi incatenato ai suoi occhi, non per la sua bellezza, era paura. Non volevo essere isolato di nuovo.
Perché vuoi parlarmi? Perché vuoi farmi forzatamente ricordare quei momenti…
«Ti hanno mai detto che sei davvero bravo a disegnare?»
Saltai un battito, ma non potevo, anzi non dovevo darlo a vedere.
Certo che me lo hanno detto. Non ricordi quante volte me lo hai già detto? Dicevi che ero il migliore a disegnare… Quindi-No, nulla. Non ricordare…
«Non è nulla di che, nella media» distolsi lo sguardo che intanto era riuscito a scivolare sulle sue gambe, una calamita per pervertiti, così si potevano definire.
Smettemmo, subito dopo, di parlarci, quasi di respirare uno l’aria dell’altro: era la quiete prima della tempesta.
«Ragazzi qualcuno saprebbe dirmi il significato di “bene”?» Esclamò il professore, provando a far interagire tutti gli alunni.
Una serie di risposte, anche sensate, ma non argomentate, un bicchiere vuoto. Il professore mi indicò, voleva sentire la mia opinione a riguardo.
Il bene? Che risposta ti aspetti da un disadattato come me?
«Mh… beh direi che a determinare il bene è il sentimento… Le nostre emozioni, ciò che proviamo. In particolare, il sentimento dell’empatia. Perché non facciamo del male alle persone? Perché vederle soffrire, ci fa stare male, mentre, al contrario, fare del bene per gli altri, ci fa automaticamente stare bene»
Oddio ma che diavolo ho detto? Ma si può davvero dare una definizione di bene?
Il professore mi sorrise, probabilmente gli piacque la mia risposta, ma non era l’unico. Esatto, a rovinare il mio momento di fama fu Rael, che cominciò a ridere. Mentre parlavo, con la coda dell’occhio vedevo qualcosa che si stava contorcendo, ma non pensavo stesse trattenendo le risate…
Cosa, perché ridi?
«O… oddio non ce la posso fare, scusa!» Avrei davvero voluto bruciarla con lo sguardo.
«Ehm… Rael, vuoi dire a tutta la classe il tuo pensiero a riguardo?»
«Mh… Certo, perché no…» Si fermò un attimo, quasi incerta su come proseguire. Cosa stava aspettando, che qualcuno le srotolasse un tappeto rosso davanti ai piedi?
«”il bene è empatia” quindi. Ti prego Oda, ripensaci. L’empatia è una qualità che ogni essere umano possiede, ma in modo diverso. Chi più, chi meno. La tua è una visione troppo soggettiva» mi fece l’occhiolino, come una provocazione, voleva che le rispondessi, ma il professore mi batté sul tempo.
«Capisco. Sapresti darmi una tua personale opinione di “bene”?»
Sogghignò, aspettava con ansia quel momento.
«Il bene consiste nella realizzazione dell’essere umano, migliorare le nostre potenzialità. D’altronde, ogni azione umana, punta sempre al bene, alla felicità del singolo. Ad esempio: io lavoro, perché? Perché voglio ottenere denaro, perché? Perché voglio comprare una chitarra, perché? Perché suonare una chitarra mi rende felice. In conclusione, tutte le azioni che noi compiamo sono solo dei mezzi con cui arrivare al fine ultimo: la felicità»
Quindi per te, il bene è puntare alla felicità materiale?
«Ci sono ovviamente alcuni fraintendimenti, di certo la felicità non è il piacere, la ricchezza, o la fama»
HO DETTO DI SMETTERLA DI LEGGERMI NEL PENSIERO!
«Brava Rael! Ottima risposta!» era raro vedere quel vecchio così contento.
Ottima risposta? Ma l’hai almeno ascoltata? È un pensiero troppo vago. Cosa significa “cercare il giusto mezzo”, “felicità attraverso l’autorealizzazione”, una meta troppo indefinita!
Cominciarono tutti ad acclamarla.
Perché…?
«Non avevo mai pensato al bene in questo modo!»
Perché, tu di solito quando non hai niente fare, pensi al bene? Ma fammi il piacere disperato N.1
«Come sei arrivata a questo pensiero?»
Pian piano mi stavano spingendo sempre più fuori dal mio stesso banco, ormai ero solo d’intralcio. Il mio pensiero sul bene in versione altruista non interessava a nessuno, come biasimarli… A fianco avevo l’incarnazione della perfezione o qualcosa del genere.
Lo squillare della campanella arrestò tutte le domande, ma non era solo quello. Mi stavano guardando tutti.
Mh? Cosa? Che sta succedendo?
«Oda allora? Torniamo a casa insieme?»
Rael, BASTA PROVARE A FARMI ODIARE DA TUTTI I TUOI AMMIRATORI, IO VOGLIO ANCORA VIVERE!