Capitolo sei
Usciamo dalla stanza, siamo in un corridoio, stretto, senza finestre, ma solo con una lampadina appesa al soffitto. È accesa e lampeggia in maniera preoccupante.
«Non è il massimo casa mia.» Saro mi passa avanti. «Vieni.»
Continuo a guardare i muri e inizio a notare le innumerevoli crepe, ha ragione, questa casa sembra stia cadendo a pezzi.
Superiamo il passaggio e sbuchiamo in un’altra piccola stanza, non c’è la porta, solo un grosso buco a forma di rettangolo, sembra di essere in una caverna.
«Le hai spiegato perché non sta sanguinando?» L’anziana interpella Saro. È seduta, ha i gomiti poggiati sul tavolo che le è davanti.
«Sì.» Risponde secco, c’è tensione fra quei due, eppure non sembravano così distaccati poco fa.
«Molto bene, accomodatevi.» Ci invita mostrandoci le sedie libere. «Saro, ti ringrazio per la disponibilità. Come ben sai, preferisco tenere lontani i guai dalla nostra gente.» La “nostra gente”? Intende i lupi mannari? I suoi occhi sono socchiusi appena, grigi, taglienti, affilati.
Dovrei dire qualcosa?
«M-Mi dispiace.» Abbasso la testa.
«Cara, tu non hai colpe, purtroppo, è una cosa che può succedere.» Posa la sua mano grinzosa sul tavolo, le sue vene seguono la scia di striature del legno. «Adesso voglio raccontarti una storia.» Alza il cappuccio del suo saio sulla testa, è del tutto coperta.
«“La Maledizione Della Luna” è una leggenda che viene tramandata da secoli, essa racconta di come le persone nate sotto i giorni di dicembre siano legate al maligno e quindi maledetti.» Bagna le sue labbra con la lingua. «Il perché ha le sue radici nella religione cristiana, in quanto nascere in date adiacenti a quella della nascita di Gesù Cristo rappresenta una blasfemia. Sidora, tu quando sei nata?»
La mia testa inizia a bollire, io sarei maledetta? Qual era la domanda?
«Sono nata la notte della Vigilia, mi ricordo che mamma diceva che forse ero nata proprio il venticinque.» Dico con un filo di voce, cazzo.
«Qui troviamo il primo punto di incontro tra la leggenda e la tua vita. Adesso voglio chiederti un’altra cosa, hai qualche ricordo dei tuoi primi sei anni di vita? Di qualsiasi tipo.» Incrocia le mani, fa picchiettare i suoi indici, sono così lenti, sembrano due bacchette giapponesi, quelle che si usano per mangiare.
Non devo pensarci. Chiudo gli occhi, cerco nel database dei miei ricordi, ci sono io, vedo mamma e papà, mi ricordo quando andammo al lago, quando facemmo la gita a Gardaland, però avrò setto o otto anni… di me a sei anni… nulla, però è normale, no? Ero troppo piccola?
«È normale non ricordartelo, fa parte del rituale di sigillo.» Scopre la sua testa, rabbrividisco, la sua faccia è ricoperta da puntini grigi. «“Ogni venticinque dicembre, il padre della creatura impura dovrà marchiare il suo piede con una punta d’argento”. Questo era uno dei rimedi per far sì che la Maledizione non facesse mai effetto.» Guardo Saro, è immobile, resta in silenzio e ascolta.
«Però, io non sono l’unica a essere nata a dicembre. Ho molti amici nati nello stesso periodo, Martina è nata il venti di quel mese.» Affermo con risolutezza, forse sto credendo troppo facilmente a tutto, magari c’è una telecamera nascosta e tutto questo è un grande scherzo.
«E qui arriviamo all’ultima parte della leggenda: solo un lupo mannaro può concepire un altro lupo mannaro.»
Stacco la spina al cervello. Quindi sono figlia di un mannaro? Mio padre?
«Sei la figlia di Patrizia se non sbaglio, giusto?» Sussulto. È il nome per intero di mia madre. Da quanto tempo non lo sentivo pronunciato così, per me è sempre stata Patty… «Sidora?»
«Sì.» Rispondo con un monosillabo, secco, spento. Ricordarla è sempre difficile.
«Quando avevi dodici anni è morta. Sai come? Qualcuno te lo ha mai raccontato?»
«Questo è troppo. Abbia un po’ di tatto!» Saro si alza dalla sedia, questa è la prima volta che sfida l’anziana. «So che “questo” è necessario per farle capire la situazione, ma sta esagerando.»
«Saro, siediti!» Lo ammonisce, di certo è una tipa che non si lascia pestare i piedi. «Tua madre è morta di infarto. Il cuore le si è bloccato e ci ha lasciato. Ti hanno raccontato questo o mi sbaglio?» La saggia mi fissa, tiene in pugno i miei occhi, non li molla neanche per un’istante. Devo risponderle, ma sento il mio corpo, lo sta facendo di nuovo.
«C-Credo di sì, p-papà mi disse la s-stessa cosa.» Singhiozzo, perché continuo a faticare quando parlo di lei, cazzo, voglio crescere. Devo crescere.
«Non è esattamente così.» Ho una fitta al petto. Cosa intende dire? Mio padre mi ha mentito? N-Non ci credo. «Devi sapere che noi lupi mannari siamo cambiati molto nel tempo.» Scende dalla sedia, resta in piedi. «Sidora, conosci la teoria dell’evoluzione di Darwin?» La teoria di uno scienziato dell’Ottocento? Ormai bello che morto?
«C-Certo, l’ho studiata a scuola tempo fa…» Ma cosa c’entra adesso? Cosa dovrebbe rappresentarmi?
«I mannari di oggi, quelli moderni, sono evoluti. E con loro è evoluta anche la loro capacità di morire.» La loro capacità di morire? Non riesco a capire, cosa significa?
«Non puoi dirglielo. Non adesso.» Saro sbatte la sua mano sul tavolo, il legno si increspa sotto al suo colpo.
«Tua madre ha scelto di togliersi la vita, ha lasciato che tuo padre la uccidesse. E lo ha fatto solo per permetterti di avere una vita normale.» C-Cosa?
Sento le forze abbandonarmi, sto cadendo dalla sedia? Sbatto la nuca sul pavimento.
«No! No! Papà non avrebbe mai fatto nulla del genere!» Urlo, squarcio a morsi il silenzio di quella stanza.
«Sidora, ascoltami, non ho finito.»
«Sidora un cazzo.» Mi rialzo, ho gli occhi gremiti d’odio, voglio farle del male, voglio strapparle ogni unghia che ha sulle dita, a una a una. Voglio ucciderla.
«Sidora, aspetta.» Saro mi afferra per la vita. Porto indietro il gomito, lo colpisco alla mandibola con un colpo secco. Molla subito la presa. Mi sono liberata, salto il tavolo. Poggio la mia fronte su quella dell’anziana.
«Non puoi dire certe cazzate. Mia madre non si sarebbe mai fatta uccidere, tantomeno da mio padre.» Il mio fiato alita sulla faccia della vecchia, sento la mia bocca diversa, sembra stia crescendo, la pelle è come se non fosse più mia. La donna accenna un ghigno, adesso le spacco la faccia.
«Sei una mannara… non ci credi ancora? Guardati allo specchio.» La donna non si muove di un millimetro, solo l’indice rompe la sua fermezza e punta il frigo in metallo dietro di lei. Alzo i miei occhi.
Quello che vedo mi fa tremare. Delle fauci con enormi zanne. Faccio un passo indietro, poggio le mie mani sulla bocca.
«No… non può essere.» Mi sono trasformata?
«Sidora questa è la prova che tu sei speciale. Noi lupi mannari dobbiamo mordere il simbolo che è sul nostro polso per attivare questo potere. Tu non ne hai bisogno e tua madre lo sapeva.» L’anziana mi prende le mani, le stringe forte. «Patrizia era una donna fantastica, e anche suo marito era un uomo giusto.»
«T-Tu, li conoscevi?»
«Sì, tua madre era una mia allieva e tuo padre invece era un nostro prezioso alleato, si muoveva nel mondo degli umani. Adesso dov’è?» Cerca di cambiare discorso? Vuole farmi pensare, vuole riportarmi a essere un’umana, ma posso ritornare a esserlo?
«Sono due anni che non lo vedo… È-È partito per lavoro.» Respiro a fatica, mi sento sfinita.
«Passano gli anni ma rimane sempre un grande uomo… Maurizio, spero tu sia vivo, avremo bisogno di lui per-»
«Adesso basta!» Saro si intromette. Mi prende la mano e mi strattona via. «Lei ha ascoltato abbastanza. Le dirò io il resto. Tu puoi anche andartene.» Le ha appena dato del tu, fino a ora non si era mai permesso.
«Saro, non mettermi in condizioni di farlo.» Lo guarda con veemenza, trapassa i suoi occhi, è una battaglia di sguardi.
«Vai. Via. Da questa casa. Ora!»
I due continuano a fissarsi, nessuno di loro vuole cedere, io non riesco a fare nulla.
«Saro, mi hai profondamente deluso.» L’anziana morde il suo braccio, una piccola scia di sangue cola dalle sue vene poco prima che i suoi muscoli iniziano a pomparsi, le braccia e le gambe si allungano. Il saio si strappa. In pochi istanti si è trasformata in una bellissima lupa dalla pelliccia argentata. Corre via, nell’altra stanza e scompare nel buio dell’appartamento.
«S-Sidora» La sua mano si posa sulla mia testa. «Andiamo a riposare.»