1. In contropiede
<<…dopo l’ANOVA, l’analisi dei dati prosegue, di solito, con il confronto tra medie o tra gruppi di medie, per capire se vi siano differenze significative tra un trattamento e l’altro. Ovviamente, La significatività di queste differenze è solo uno degli aspetti che più ci interessano, in quanto è anche molto importante valutare la loro rilevanza biologica. Infatti, una differenza potrebbe essere significativa, ma irrilevante da un punto di vista agronomico o, viceversa, essa potrebbe essere non significativa, ma estremamente rilevante, quindi meritevole di ulteriori approfondimenti scientifici. Questa parte del lavoro viene usualmente eseguita utilizzando i contrasti lineari…>
Chi me lo ha fatto fare?
Iris Lealty sedeva scomposta in una delle aule ad anfiteatro della Berkeley.
Le sembrava assurdo essere dovuta tornare “sui banchi di scuola”, solo per mantenere il suo impiego. Lei amava il suo lavoro, lo svolgeva da più di 10 anni: aveva aiutato molte famiglie sciagurate, molti adolescenti disagiati, molti bimbi problematici. Ogni caso passasse sotto la sua supervisione terminava con un successo – per quanto possa essere considerato un successo da parte dei genitori il fatto che un quindicenne impacciato, asociale e autolesionista nel giro di un anno riuscisse ad avere un gruppo di amici ed entrare a far parte della squadra di lotta libera della scuola, per guadagnare crediti extra per il college. Nonostante questo, per una piccola facezia burocratica che impediva ai tutor di lavorare senza un Master in Scienze della Comunicazione, Iris dovette riprendere gli studi nell’Università più competitiva e snob dello stato della California.
Non che le dispiacesse il frequentare lezioni e corsi, lei adorava imparare cose nuove: la sua mente era sempre stata una spugna. Fosse stato per lei avrebbe ripetuto il Liceo finchè non fosse uscita con il voto che voleva, finchè non avesse raggiunto la perfezione.
Il lato negativo di dover frequentare questo Corso di studi, purtroppo, era la presenza di corsi di Statistica e Informatica, le materie che più detestava in assoluto: una volta aveva dovuto ripetere l’esame di Analisi Multivariata dei Dati per ben tre volte prima di riuscire a passarlo, anche se nel caso dell’ultimo tentativo aveva ricevuto un aiuto notevole.
<<…L’analisi della varianza ed il relativo test di F ci dicono che esiste una qualche differenza significativa tra i trattamenti, ma rimane il problema di classificare le soluzioni diserbanti in ordine di efficacia. Per prima cosa, calcoliamo le medie dei trattamenti, utilizzando…>>
Per la miseria, di che accidenti stava parlando questo tizio?
Iris cominciò a stropicciarsi i capelli della frangia mentre masticava il tappo della penna a sfera blu. Continuava a guardare il quaderno degli appunti in cui tentava di trascrivere qualsiasi cosa fosse riuscita a comprendere, e poi tornare con gli occhi alla gigantesca lavagna elettronica su cui il professore stava snocciolando numeri e formule e grafici a colonne. Gli occhiali neri e lucidi le erano scivolati leggermente verso la punta del naso e le sue guance rosse per l’imbarazzo erano seminascoste dai ciuffi ribelli color rosso ciliegia sfuggiti all’acconciatura a cipolla con cui si era legata i capelli durante la lezione.
Il professore continuava nel suo monologo voltato di spalle ai suoi studenti.
Probabilmente dev’essere il suo primo giorno anche per lui, in effetti non l’ho mai visto prima…e sembra anche piuttosto giovane. Che imbarazzante sarebbe se all’esame orale venissi interrogata da uno che ha meno anni di me. Proprio a me doveva capitare?
Al pensiero, la ragazza ancora con il tappo della matita in bocca, fece una smorfia di disagio, intrecciò le dita dietro la nuca e chinò la testa ad occhi chiusi fino ad arrivare a toccare il banco con la fronte.
Farò una pessima figura…proprio come allora…
Pensò.
In effetti non sarebbe stata la prima volta in cui si fosse dovuta affidare a qualcuno più piccolo di lei perché le spiegasse la matematica. Era stato proprio un ragazzo di tre anni più giovane che l’aveva aiutata a superare quel maledettissimo esame di Statistica, l’ultimo esame prima della Laurea.
Da quanto tempo era che non lo vedeva più? Due anni, forse tre. Chissà se lui si ricordava di lei.
<<Se ha qualcosa di interessante sul banco da mostrare, che sembra essere più importante di questa lezione, non sia timida: la mostri anche a noi…Signorina!>>
Iris spalancò gli occhi immediatamente ma rimase immobile con gli occhi fissi sulla superficie scarabocchiata del suo quaderno degli appunti. Aveva i brividi e le palpitazioni e dal calore che sentiva sprigionarsi dal proprio viso, doveva avere le gote del colore di un peperone.
Quella voce, quel termine, con quell’intonazione, solo una persona al mondo…
Voltò leggermente gli occhi a destra e si ritrovò due gambe muscolose avvolte in un paio di jeans neri elasticizzati, con la punta delle scarpe nere lucide rivolte verso di lei.
<<La sto disturbando per caso?>>
Iris alzò lentamente la testa dal banco facendo passare lo sguardo sul corpo del suo interlocutore
Non può essere.
Riconobbe la cinghia nera color mogano che stringeva la vita dei calzoni appena sopra la sua poderosa virilità, il quaderno verde con la copertina rigida tra le sue mani forti, gli occhiali appesi al taschino della camicia alla sinistra dell’ampio petto, la cravatta rossa che avvolgeva elegantemente il robusto collo dell’uomo. Quando arrivò a riconoscere il ghigno divertito, fin troppo familiare, in cui era incurvata la bocca di lui, il cuore di Iris mancò un battito e il respiro accelerò ancora di più, finché non incontrò i suoi occhi e lo riconobbe. Dallo shock la mascella le si aprì di scatto, la penna le scivolò dalle labbra gonfie cadendo fragorosamente sul linoleum della scalinata, le braccia le piombarono sul grembo e le sue mani si contrassero, stropicciando la gonnellina scozzese blu e verde della divisa. Le si mozzò il fiato in gola.
Cosa diavolo ci faceva Lui qui?
Passarono pochi secondi che sembravano interminabili.
<<Mi ricordavo che si facesse distrarre facilmente, ma non mi ero mai reso conto addirittura che la mia voce la facesse assopire…Signorina>>
Di nuovo quel tono, di nuovo quel ghigno, di nuovo quello sguardo. Iris scosse la testa in imbarazzo: si chinò in basso a recuperare la penna caduta in mezzo ai piedi dell’uomo e ne approfitto per prendere qualche boccata d’aria, finchè riuscì a sussurrare un <<Chiedo scusa…>>. Accovacciata in ginocchio per tentare goffamente di recuperare il suo strumento per la scrittura, si ritrovò in una posizione che non assumeva da tempo ormai davanti ad un uomo – in effetti, l’ultimo con cui l’aveva fatto era proprio l’uomo che le stava di fronte.
Il professore che stava in piedi davanti a lei si inchinò leggermente, appoggiando una mano sul banco. Le mise il quadernino verde che aveva in mano sotto al mento e glielo sollevò per incontrare i suoi occhi.
<<Chiedo scusa… cosa? Signorina…>>
Boccheggiando con il poco di fiato che l’era rimasto nei polmoni, Iris rispose: <<Chiedo scusa, professore!>>
L’uomo fece una smorfia compiaciuto.
<<Molto bene, Signorina!>>
Disse. Ritrasse la mano e si rimise con la schiena dritta. Si rivolse di nuovo verso la cattedra e scese le scale, pronto a tornare al suo posto a fare lezione. Iris, nel frattempo, raccoglieva il barlume di lucidità mentale che le era rimasto nel tentativo di ricomporsi.
Come gli era venuto in mente di fare una scena simile durante una lezione? Davanti ad una classe di studenti…
Speriamo che il Rettore non lo venga a sapere o sono fottuto!
Il professor Roland Archer percorse in silenzio la scalinata fino al computer accanto alla lavagna elettronica. Il cuore gli martellava in petto come un tamburo, la fronte gli cominciò a sudare e il sangue cominciò a scorrere veloce verso una parte anatomica che se si fosse risvegliata avrebbe reso quella situazione ancora più compromettente. Non poteva rimanere in piedi, non adesso, ma non aveva resistito a provocarla.
Gli sembrava strano in effetti che lei non lo avesse riconosciuto.
Che lei non sapesse chi sarebbe stato il docente responsabile di quel corso?
Probabilmente non l’era importato. Roland sapeva per certo che Iris non aveva mai apprezzato la sua materia, anche se aveva provato varie volte ad istruirla in passato.
<<Bene, vediamo ora se sapete svolgere qualche esercizio. Ve li proietterò sullo schermo: svolgeteli sul programma che avete installato sui vostri calcolatori e consegnatemelo via mail prima della fine della lezione. Avete mezz’ora>>
Se non altro aveva una scusa per sedersi e lasciare che il suo fervore si acquietasse. Non aveva una tale scarica di ormoni e adrenalina dall’ultima volta che era stato con una donna in quel modo, in particolare con Quella donna.
Aveva visto il suo nome sul registro appena iniziata la lezione, ma non credeva fosse lei. Che motivo avrebbe avuto una trentenne plurilaureata in Psicologia a frequentare un Master con dei ventenni?
Aveva sperato in un caso di omonimia, in un errore di trascrizione, finché non se l’era ritrovata in aula, seduta in terza fila che svuotava la borsa sul banco per cercare il blocco degli appunti e una penna. Si era stupito persino che fosse riuscita a trovare ciò che le serviva dentro quel buco nero. Una volta le aveva detto <<Iris, chiedimi quello che vuoi, ma ti prego: non dirmi di prenderti qualcosa dalla tua borsa…!>>
Avevano riso tanto durante quel viaggio in macchina. Lei lo stava riportando a casa dopo un fine settimana di fuoco passato a dormire abbracciati, parlare e fare sesso… E che sesso!
Così non aiuti la tua situazione.
Pensò tra sé e sé mentre i suoi jeans cominciarono a diventargli scomodamente stretti sul cavallo.
Dannazione.
Il suo membro si era risvegliato come se avesse appena ricevuto una scarica elettrica e ora la sua mente non riusciva a svincolarsi dalle immagini erotiche che gli vorticavano sotto gli occhi semichiusi. I ricordi riaffiorarono e scrosciavano come un fiume in piena e la campanella stava quasi per suonare. Doveva concentrarsi su qualcos’altro prima di perdere la dignità e il posto di lavoro nello stesso giorno.
Numeri: concentriamoci sui numeri.
La matematica lo avrebbe salvato, almeno è quello che sperava.
Passò gli ultimi 20 minuti di lezione a fare equazioni a mente pensando a come sarebbe cambiato il risultato adottando basi numeriche differenti, poi si mise a smanettare con il pc cercando articoli accademici da leggere. Non che fosse particolarmente interessato, c’erano pochi studi di matematica che lui non avesse già esaminato.
Roland si mise gli occhiali e cercò dei paper mai tradotti in inglese. Ne trovò uno di ingegneria elettronica in cinese: aprì il dizionario online su una nuova scheda nel browser e si mise all’opera.
Se non altro è un diversivo, pensò.
Un raggio di luce molesta gli coprì metà schermo del computer e lo distrasse abbastanza da percepire il silenzio intorno a sé.
Era talmente concentrato sul suo lavoro che non si accorse né della campanella, né dei suoi studenti che, salutandolo, erano già usciti disordinatamente dall’aula.
Stropicciò gli occhi sotto gli occhiali e mise a fuoco l’orario sul pc: le sette meno un quarto. Il raggio di sole che lo aveva disturbato era quello del tramonto. Odiava le lezioni pomeridiane. Lo irritava terribilmente dover attenersi alla programmazione dell’università: se avesse potuto scegliere avrebbe preferito di gran lunga svegliarsi presto il mattino per poi avere il pomeriggio libero. Invece gli toccava doversi recare in Dipartimento a quest’ora scellerata, per cercare di riempire la testa dei suoi studenti di nozioni complesse, che avrebbero fatto fatica ad assimilare. Certo, però una Cattedra in quell’Istituto gli avrebbe fatto comodo nel curriculum.
Non aveva ancora finito di lamentarsi con sé stesso che udì il suono di uno sbuffo provenire dal centro della stanza. Iris era ancora seduta al suo banco alle prese con quella che doveva essere una crisi di nervi.
Un altro raggio, proveniente dalle finestre alle spalle della ragazza, le illuminava i capelli che parevano essere accesi come il fuoco, aumentando, se fosse stato possibile, l’intensità dell’arancione del tramonto dietro di lei. Aveva la camicetta bianca leggermente sbottonata sul petto e in controluce lui poteva vedere nettamente i contorni del reggiseno di pizzo bianco che indossava. Aveva le sopracciglia corrucciate e continuava per il nervosismo a mordicchiarsi e pizzicarsi le labbra, fino a farle diventare gonfie e rosse quasi quanto il colore dei suoi capelli.
È dannatamente carina quando è in difficoltà, pensò.
L’Università era quasi del tutto svuotata di tutti i suoi studenti e la ragazza sembrava non essere intenzionata ad andarsene. Conoscendola, Roland sapeva che non si sarebbe schiodata da quel banco finché non si fosse arresa o non fosse riuscita a fare quello che lui le aveva chiesto. Non tanto per chi fosse lui, ma perché Iris era una perfezionista. Non le piaceva essere in difetto, non le piaceva chiedere aiuto, non le piaceva pensare di non essere all’altezza delle sue stesse aspettative.
Poco male, non aveva niente di particolarmente interessante da fare a casa.
Il professore colse l’occasione per stuzzicarla: moriva dalla voglia di provare a sé stesso che era ancora in grado di distrarla, proprio come allora.
Facendo attenzione a non far rumore si alzò lentamente dalla cattedra e procedette a passo felpato fino a mettersi accanto a lei.
Mentre imprecava mentalmente contro il Professor Archer, Iris tentava invano di risolvere gli esercizi che lui aveva assegnato.
Se quel pomposo, arrogante, presuntuoso professorino da strapazzo crede di mettermi in imbarazzo con questa trovata, si sta sbagliando di grosso… cos’è che devo fare adesso? Non ci capisco niente! Devo rivedere gli appunti…se solo avessi capito quello che ho scritto! Maledizione! Bene, Signor Professore, vedo che non intendi andartene finché non avrai tutte le consegne. Magari ti aspetti che venga a chiederti un’aiuto…Te lo scordi! Non mi abbasserò mai a fare una cosa del genere! Te la farò pagare cara questa. Scommetto che chi ti aspetta a casa dovrà aspettarti a lungo.
Iris sorrise malignamente. Poi si ritrovò a pensare che il motivo per cui non le creasse nessun problema trattenersi di più all’Università fosse per il fatto che, al contrario di lui, lei non aveva nessuno che l’aspettasse a casa. Una fitta le strinse lo stomaco, contorcendolo.
Non sono affatto gelosa, è solo fame. Sbuffò e si rimise nervosamente a guardare il suo blocco appunti scarabocchiato.
<<Serve una mano?>>
L’improvvisa presenza di Roland accanto a lei la fece trasalire, ma cercò in ogni modo di non dare a vedere le altre reazioni corporee che tale vicinanza le stava provocando.
Finiscila e concentrati. Sii distaccata.
Si ammonì Iris.
<<Non mi serve niente. Se vuole le consegnerò il lavoro incompleto e potrà mettermi il voto che vuole. Altrimenti può andare a casa ed aspettare che glielo invii via mail>> disse lei senza staccare gli occhi dai suoi appunti.
<<Mmm… credevo che mi dessi del lei solo quando fossi in ginocchio>>
La stava provocando, di proposito. Anche se non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi, per paura che lui leggesse quello che stava provando, poteva percepire l’atteggiamento gongolante che stava avendo il ragazzo dai capelli bruni e setosi accanto a lei.
Iris alzò gli occhi al cielo in modo teatrale. Era brava a recitare una parte quando le circostanze lo rendevano necessario.
<<Si è tolto questo sassolino dalla scarpa. Bene. È molto tempo che sta pensando a questa uscita o le è venuta fuori così spontaneamente. Perché sa, esistono le leggi contro le molestie sessuali qui all’Università e lei mi sembra appena arrivato. Non vorrà, certo…>>
Nell’impeto del suo monologo sarcastico, Iris si era voltata appena verso di lui, senza accorgersene. Non sapeva neanche quello che stava dicendo: cercava solo un modo di esprimere così tanta frustrazione e rabbia da mandarlo via. Quel che accadde, invece, fu che la ragazza si ritrovò con il viso di Roland a pochi centimetri dal suo, con il mento inclinato verso l’alto avvolto dalla mano sinistra del professore, mentre la mano destra di lui era agganciata al bordo del banco appena dietro di lei. Era intrappolata da quello sguardo provocatorio che bruciava dentro il suo. Non riusciva più a ricordarsi quello che doveva dire, non riusciva più a ricordarsi i numeri, la sfida, le sue manie di perfezionismo. Si dimenticò persino del tempo che era passato dal loro ultimo incontro: il suo respiro si bloccò nell’istante in cui il suo corpo si risvegliò e onde di calore provenienti dal basso ventre cominciarono a propagarsi ovunque dentro di lei.
Iris stava perdendo il controllo: non poteva lasciargli avere questo potere su di lei. Non di nuovo, non dopo tutto questo tempo. Era stato lui a decidere di non volere niente di serio e lei lo aveva lasciato libero nonostante questo l’avesse distrutta.
Raccolse tutto il coraggio e l’amore che aveva imparato ad avere per sé stessa, strinse i denti e alzò ancora più il mento, sfidandolo.
<<Quindi? >>
Aveva ancora il respiro accelerato: rabbia ed eccitazione montavano dentro di lei al ritmo con il pulsare spasmodico del suo sesso e del suo cuore. L’attrazione che provava per quest’uomo era sempre stata qualcosa di indescrivibile, ma adesso non poteva arrendersi: era una questione di principio. Lei lo aveva amato e lui le aveva spezzato il cuore. Ovviamente lui non sapeva l’entità dei sentimenti di Iris per lui, e non lo avrebbe mai saputo, aveva deciso lei. Era troppo tardi.
Roland trattenne a stento la voglia di esultare: aveva avuto molte partner sessuali prima e dopo di Iris, con cui aveva esplorato il mondo del BDSM come dominatore, ma la maggior parte delle sue “compagne di gioco” rimaneva volentieri nel proprio ruolo di sottomessa, anche troppo, adesso che ci stava ripensando. Lei era l’unica che lo avesse mai sfidato. L’unica con cui poteva sperimentare l’eccitazione della conquista, quella sensazione di grandezza e potere che gli riempiva il petto e gli gonfiava l’ego quando riusciva ad ottenere il consenso di lei alla sua sottomissione.
Invece di spegnere i bollori, l’atteggiamento di sfida aperta di Iris glielo fece indurire ancora di più. Se qualcuno fosse entrato in quel momento, costringendolo a raddrizzare la schiena, avrebbe potuto vedere chiaramente la sua erezione. Il fatto che fosse in classe da solo con uno studente, inoltre, non lo avrebbe messo in una luce migliore. Fortuna che si era premunito di chiudere l’aula a chiave prima di arrivarle accanto di soppiatto. Quell’improvvisa consapevolezza lo colpì forte, come un pugno al petto.
Erano soli, nell’immensità dell’edificio deserto, la stanza rossa illuminata solo dagli ultimi raggi del crepuscolo, l’aria densa di voluttà. Iris lo voleva, anche se faceva la dura, lui lo sapeva: aveva imparato a leggere in quelle pozze marroni tutto quello che c’era da sapere di lei molto tempo fa, soprattutto i modi migliori per farle raggiungere orgasmi da favola. Ora poteva sfruttare quella conoscenza a suo vantaggio: dietro quell’espressione apparentemente indifferente lui vedeva pupille dilatate tanto da inglobare l’iride color legno; grazie a quella postura a schiena dritta e irremovibile riusciva a vedere dentro la scollatura della camicetta i suoi seni rigonfi e la sua pelle d’oca; al di sotto di quel collo così tirato e arrogante percepiva attraverso i suoi polpastrelli il battito irregolare di un cuore in tumulto; al di là di quelle labbra serrate e i denti stretti riusciva a constatare il ritmo frenetico del respiro di una donna in preda all’estasi.
Poteva averla, se solo avesse voluto, lì, in quel momento: su quei banchi, su quella scrivania, su quella lavagna, su quegli scalini, su quel pavimento. Se la sarebbe potuta godere a pieno. Avrebbe fatto del gran buon sesso, dopo anni di rapporti soddisfacenti.
Ci toglieremo il tarlo e poi potremo riprendere la nostra amicizia. In fondo sono il miglior amico di suo cognato. Cosa c’è di male? Non ci farà mica niente. Una botta e via. Poi ognuno per la sua strada. Come l’ultima volta. Vorrei che mi vedesse almeno una volta come l’uomo che sono, non come il ragazzino che lei ha sempre pensato che fossi. Poi la lascerò libera di trovare qualcuno alla sua altezza. Ma stasera, stanotte, vorrei che fosse mia come una volta: vorrei riprovare quelle emozioni un’ultima volta.
Roland meditava su tutti i modi in cui poteva prendere Iris, farla godere come in passato e appagarsi di ogni singolo urlo o gemito o orgasmo che le avrebbe fatto raggiungere: la guardava come un lupo che si lecca i baffi contemplando la sua preda.
Improvvisamente il professor Archer sentì la tensione dei muscoli della ragazza sciogliersi come miele in un bicchiere di latte caldo: aveva quasi vinto. Lo sapeva.
Mentre la sua tracotanza cresceva, sentiva i muscoli tesi della ragazza rilassarsi progressivamente. Gli occhi di Roland ricominciarono a vagare intorno al viso di lei per abbeverarsi di ogni minimo cambiamento potesse scorgere nel volto di Iris, qualsiasi accenno che gli suggerisse che era riuscito a farsi dare il consenso da lei. Tornò agli occhi di Iris pronto a ricevere la ricompensa, ma quello che vide, lo spaventò. Scattò indietro come una molla, come se il suo corpo fosse venuto improvvisamente a contatto con uno schizzo di lava fumante. Una goccia salata e sporca di mascara gli bagnava l’indice destro.
<<Panico…!>> fu tutto quello che Roland riuscì a dire, soffiandolo fuori dalla bocca, impietrito.
Iris scattò in piedi. La frustrazione per l’impossibilità di poter esprimere sé stessa si era fatta talmente intensa che la fece piangere. Scioccata, percorse velocemente la scalinata senza mai voltarsi indietro, attraversò il lungo corridoio, diretta verso l’ingresso dell’edificio e si tuffò nel parcheggio a cercare la sua macchina per allontanarsi da quel disastro il più velocemente che poteva.
Sbrigati vecchio macinino. L’aria era frizzante e fresca, non così gelida da non poter andare in giro con la felpa leggera, ma Iris non smetteva di tremare e battere i denti. La prima cosa che fece una volta chiusa in macchina fu accendere il riscaldamento a manetta e lasciare che il getto condizionato caldo la calmasse. Tremava come se fosse alla deriva in una landa ghiacciata, ma la sua anima stava avvampando.
Cos’era appena successo? Iris non riusciva a capacitarsene…continuava a rivivere la scena di cui era appena stata protagonista, nonostante facesse fatica a considerarla reale.
Dannazione: aveva dimenticato il cellulare sotto il banco!
<<Oh no… ti prego no… io non posso tornare là… ma devo, c’è la mia vita lì dentro… non posso lasciarlo lì… speriamo che se ne sia già andato… oppure no, potrei chiedere spiegazioni, potremmo parlare in maniera civile…>>
Quello che aveva fatto Roland le suggeriva che l’attrazione che provavano reciprocamente non era affatto diminuita con il tempo, da entrambe le parti. Era riuscita a vedere chiaramente la reazione fisica del ragazzo alla sua vicinanza, soprattutto all’altezza del cavallo. Quei meravigliosi jeans che indossava oggi non lasciavano niente all’immaginazione e gli mettevano in risalto quel culo che un tempo lei era solita palpeggiare e strizzare ogniqualvolta volesse.
Da lì a mezz’ora avrebbero chiuso i cancelli e non sarebbe più riuscita a rientrare a scuola. Iris fece un respiro profondo, girò le chiavi nel quadro per spegnere la macchina e aprì la portiera per scendere. La rotazione fu bloccata da Roland, che se ne stava lì immobile con il cellulare della ragazza in una mano protesa verso di lei.
<<Grazie>>
<<Lo hai dimenticato>>
<<Si, chissà dove avevo la testa>>
<<Chissà>>
Fatti coraggio e digli qualcosa senza biascicare.
Iris riusciva solo a spostare lo sguardo tra il cellulare che ora giaceva di nuovo tra le sue mani, le mani di lui e la portiera della macchina, non sapendo bene come portare avanti una conversazione che in ogni modo fosse finita sarebbe stata imbarazzante.
Cominciamo dalle ovvietà…
<<Non sapevo che fossi tu il professore del corso, sappi che non l’ho fatto apposta. Non voglio starti tra i piedi e se per te è un problema mantenere un rapporto professore-studentessa, posso fare l’esame l’anno prossimo con un altro insegnante, sono sicura che…>>
<<NO!>>
Roland interruppe bruscamente il flusso di parole che stavano uscendo senza controllo dalla bocca di Iris.
Che cos’ha, adesso? Sembra arrabbiato!
<<Non è un problema che tu sia nella mia classe e non devi perdere un esame solo perché ci sono io ad insegnare. Neanche io sapevo che tu studiassi qui: ho visto il tuo nome sul registro appena entrato in aula, ma solo quando ti ho vista entrare ho capito che eri tu. Sapevo che non eri tipo da informarti sul nome del professore di Statistica. Se vuoi che ti tratti come un estranea qui a scuola lo farò, ma non credere che farei favoritismi solo perché siamo andati a letto insieme: se vuoi rimanere in questo corso ti dovrai impegnare seriamente. Potrai chiedermi una mano ovviamente, se ti serve, ti aiuterò volentieri, ma non userai la scusa del conflitto di interessi per evitare di studiare come si deve questa materia. A te la scelta>>
<<Credi davvero che io chiederei trattamenti di favore? Ma chi ti credi di essere? Sappi che fino a che non sei arrivato vicino a me non avevo assolutamente idea che il professore fossi tu>>
<<Se eri in difficoltà, perché non hai chiesto un chiarimento?>>
<<Roland… Mi conosci, non mi piace chiedere una mano. Non mi piace essere di peso o di intralcio. Me la cavo benissimo da sola>>
<<Certo, come all’ultimo esame di Statistica… ah no, aspetta… mi pare che tu ti sia fatta aiutare, da me, se non ricordo male…>>
<<Allora non eri il mio professore. Se ti chiedessi una mano adesso, sì che ci sarebbero conflitti d’interessi>>
<<Credi che io spieghi perché mi piace sentire il suono della mia voce? Sono un insegnante: il mio compito prima di ogni altra cosa è aiutare i miei studenti a comprendere la mia materia di studio. Se vuoi una mano, basta chiederla e l’avrai, così come offrirei e darei aiuto a qualsiasi altro mio studente…>>
<<Sappiamo benissimo dove ci porterebbe: esattamente dove ci ha portato l’ultima volta!>>
<<Con questo cosa vorresti dire? Credi che non riesca a essere professionale? Credi che ti salterei addosso non appena rimanessimo soli?>>
<<A me sembra esattamente quello che hai fatto in aula>>
<<In aula stavo giocando, volevo solo prenderti in giro: non mi aspettavo che tu… che tu…>
<<Che io cosa?>>
<<…>>
Non ti aspettavi che io ti volessi ancora? Non ti aspettavi che il tuo gioco ti stesse prendendo più di quanto volessi? Forse non sono l’unica che non ammette come stanno realmente le cose… E se provassi a ripagarlo con la stessa moneta?
Iris respirò forte e cercò di assumere l’espressione più dolce e ammiccante che riuscisse ad immaginare.
<<Forse, non ti aspettavi che rispondessi alla tua provocazione?>>
La ragazza cercò gli occhi del suo ex ragazzo. Non appena li ebbe catturati, sbatté velocemente le palpebre, per sottolineare la frase che era in procinto di pronunciare:
<<Credevo mi conoscessi… O ti sei dimenticato che non sono mai riuscita a ignorare una provocazione?>>
Iris cercò di omettere in maniera molto eloquente il “tua”, lasciando che il messaggio arrivasse dritto nelle parti basse di Roland.
Lui aveva giocato sporco, e lei voleva la rivincita.
Mi sta prendendo in giro?
Roland aveva le orecchie che fumavano: che razza di gioco contorto stava architettando questa donna?
Non riusciva bene a capire come avrebbe dovuto reagire. Una parte di lui aveva già deciso, ma quella non lo poteva controllare.
D’istinto, quindi, come avrebbe fatto un animale spaventato, arretrò.
Iris scoppiò a ridere.
Aveva sempre adorato vederla spensierata e ilare: aveva un allegria talmente contagiosa che non potevi fare a meno di seguirla.
Cominciarono a ridere insieme in quel parcheggio desolato, scaricando tutta la tensione che fino a prima aleggiava tra di loro. Tornarono a guardarsi nel profondo degli occhi, riconoscendo quel piacere della reciproca compagnia. Roland provò nuovamente quella serenità che pervade l’animo quando si sente di essere nel posto giusto, al momento giusto, in compagnia della persona giusta.
Lui asciugò le lacrime dagli occhi e allargò le braccia, alzando leggermente le spalle in segno di resa:
<<lo riconosco: me lo sono meritato. Hai vinto. Tregua?>>
Iris gli gettò le braccia al collo e lo tirò a sé. Anche lui si ritrovò a stringerla forte, a respirare il suo profumo, inalandone quanto più potesse. La tirò leggermente verso l’alto, allungandole a poco a poco la colonna vertebrale.
Iris cominciò a respirare più veloce. Accostò la bocca all’orecchio del ragazzo.
<<Tregua>>
Sussurrò lei. Lui rabbrividì e la strinse più forte al di sotto del torace. Il diaframma della ragazza si appiattì verso l’alto spingendo fuori dai polmoni tutta l’aria che avevano accumulato. Le spalle le si rilassarono e le scapole si unirono dietro la schiena, leggermente inclinata all’indietro. La cassa toracica di Iris si allargò sulla parte alta del petto e la testa seguì il movimento del suo corpo. Iris tirò un finto respiro che non avrebbe mai raggiunto i bronchi: la morsa di Roland era salda e irremovibile. L’uomo aveva il viso accanto all’incavo del collo di lei, gli occhi chiusi, il membro gonfio di passione e ogni suo senso sintonizzato su Iris.
<<Mhmm, mi è sempre piaciuto riuscire a farti questo effetto>>
Gli uscì prima che potesse controllarsi.
Smettila!
Roland sospirò e allentò la presa. Iris aveva smesso di respirare un istante ed era già molle tra le sue braccia.
Lei aveva gli occhi semichiusi e l’ombra di un sorriso beato e inebetito sul viso. Lui aspettò che la respirazione della ragazza tornasse regolare.
<<Me lo sono meritata>>. Rispose, infine.
<<Riesci a tornare a casa?>> Le chiese divertito e abbastanza compiaciuto.
<<Sì. Ti ringrazio>>
<<È stato un piacere>>
<<Immagino>>
Iris si rimise lentamente in equilibrio sulle sue gambe. Roland non la lasciò allontanarsi finché non la sentì stabile sulle sue gambe. Ignorando il proprio corpo, che gli urlava di sbatterla sul cofano della macchina e di esplorarle la bocca con la lingua, rimase lì, in piedi, con le mani forzatamente strette alla fodera interna delle tasche della sua giacca. La guardò andare via, su quel suo macinino sgangherato, incontro alla luce della luna che stava per sorgere.