2. La miccia
Le luminarie esterne del cortile adiacente si insinuavano nella stanza tra le tende opache della finestra e creavano giochi di ombre sulle pareti bianche. Una figura oscura torreggiava su di lei, immobilizzata e nuda: lei riusciva solo a percepire il bianco lucido dei suoi occhi e il ghigno che accompagnava sempre il suo ruolo da dominatore, quello che la faceva desiderare di urlare.
<<Non siamo state affatto diligenti, Signorina: è necessaria una lezione di disciplina. Stasera eserciteremo il nostro autocontrollo, cosa ne dice?>>
Iris non riusciva a formulare una risposta adeguata, sapeva che se non gli avesse risposto lui avrebbe continuato a ripetere la stessa domanda e non avrebbe cominciato con le deliziose torture che aveva in mente. Lei annaspò un paio di volte prima di riuscire a dire di sì, mentre Roland incedeva lentamente inesorabilmente verso di lei e si godeva ogni ansimo eccitato della sua sottomessa.
Lei era seduta con le gambe piegate, i talloni appoggiati sui due angoli anteriori della sedia e le caviglie assicurate saldamente alle gambe sottostanti. Una corda ancorata appena sopra i polpacci passava dietro lo schienale, forzandole le gambe aperte; i suoi polsi, invece, erano assicurati alle gambe posteriori della sedia, mantenendo le sue braccia dritte lungo i fianchi. Per essere sicuro che non si muovesse le aveva anche imbastito un’imbracatura intorno ai seni che li teneva separati e stretti tanto da far rizzare i capezzoli in fuori. Quella stessa imbracatura era fissata allo schienale, e giunta alla corda che le teneva i capelli legati in una coda di cavallo. Con questo sistema, Roland si era garantito l’accesso al suo collo, dato che la legatura costringeva la ragazza a tenere la testa inclinata all’indietro.
Lui le girava attorno come un serpente che ipnotizza la sua preda prima di divorarla, ed Iris si sentiva come un topo che aveva appena ricevuto la sua dose di veleno.
<<Non hai idea di quanto tu sia bella in questo momento>> la voce di Roland era un roco sussurro sulla giugulare di lei, il cuore della ragazza batteva talmente forte per l’eccitazione che lui sentiva le pulsazioni anche con le labbra a pochissimi millimetri dalla pelle calda e sensibile della ragazza.
Con un ampio e teatrale movimento del braccio, l’uomo alzò la sua mano sinistra tanto quanto bastasse perché l’oggetto che teneva in mano rientrasse nel campo visivo di Iris. Lo riconosceva, nonostante fosse tutto nero, lo aveva identificato dal suo ronzio. Era il suo vibratore, quello che avevano comprato per “giocare” assieme, ma anche quello che aveva accompagnato innumerevoli notti della ragazza spese a pensare al suo meraviglioso amante e compagno. Lui giocherellò con i bottoni per aggiustare il ritmo e l’intensità della vibrazione fino a raggiungere quella che sapeva essere la sua favorita. Quando si fermò, ad Iris scivolò fuori dalle labbra semiaperte un sospiro a metà strada tra il rantolo e il gemito. Non ce la faceva più ad aspettare: voleva le mani, la bocca, la pelle, il corpo del suo Signore e soprattutto quell’oggetto stuzzicante, addosso a sé.
<<Non ti muovere>> Le ordinò <<Altrimenti smetterò all’istante>>.
La testa vibrante del giocattolo erotico stava per raggiungere i capezzoli della ragazza, già turgidi e gonfi dalla smania di essere tintinnati. Lei cercava di inarcare più che poteva la schiena per riuscire a contrastare la lentezza dei movimenti di lui affinché quel contatto, tanto agognato, arrivasse il prima possibile.
<<Maledizione!>>
Iris si svegliò nel bagliore diurno del mattino, con la sveglia che suonava insistentemente dalla libreria dietro il letto.
<<No, ti prego ancora un po’>> provò senza successo a richiudere gli occhi e ricollegarsi allo stato onirico in cui era immersa fino ad un attimo prima, ma non c’era verso: ormai era nel mondo reale, da sola, sudata ed ansimante per il sogno estremamente eccitante sul suo ex ragazzo – professore – dio del sesso- disastro assicurato se ci fosse ricascata.
<<Davvero Iris? Dobbiamo ancora metterci a fare questo discorso? Quante volte te l’ho detto di smettere di sognare? Non è ora che rimetta i piedi per terra e cominci a comportarti come un adulta e non come un’adolescente in preda agli ormoni? Non ti è bastata la lezione dell’altro giorno?>>
Ogni tanto le faceva bene parlare da sola e rimproverarsi. Servì di certo a calmarla e a ricollegarsi con il piano materiale della sua esistenza, in cui, per altro, erano le 7.45, era ancora in pigiama, ed era in ritardo per la lezione del suo “amato” professore.
<<Non vorrai mica che lui pensi di averti impressionato e sconvolto a tal punto da non riuscire più a stare in sua presenza, vero? Vuoi che ti prenda come una mammoletta piagnona? Coraggio!>>
Con questo ultimo, severo rimprovero a sé stessa, scattò in piedi per prepararsi ad uscire ed andare all’università.
<<Povero me>>. Roland stava sorseggiando il suo caffè nella piazzetta interna dell’Istituto, mentre correggeva i compiti assegnati agli studenti della classe di Iris. Era una fortuna per lui, che ci fosse almeno una persona che conoscesse lì dentro: almeno la poteva distinguere dalle altre classi della sua rosa di incarichi.
Non era mai stato bravo con i nomi, soprattutto dei suoi allievi, soprattutto di quelli di cui non era minimamente interessato, cioè di quasi tutti, praticamente.
Roland viveva le persone come fossero personaggi NPC di un gioco: un inutile spreco di bit per fare da sfondo ad una serie di quest noiose, passaggi di trama obbligatori per renderla più corposa di quanto servisse, dialoghi pre-impostati per aggiungere un insignificante punto esperienza che si poteva benissimo guadagnare in altro modo, e che alla fine lasciavano premi non così soddisfacenti come si aveva immaginato, giusto per giustificare il tempo speso dai programmatori per scriverne il codice. Per questo preferiva i gestionali: ogni sequenza di azioni aveva uno scopo e rientrava in una perfetta organizzazione mirabilmente coordinata per raggiungere un obiettivo specifico a breve termine. Questo si intrecciava agli altri già raggiunti in una rete perfettamente sincronizzata: ogni operazione doveva essere sistematicamente ben posizionata per poter creare un meccanismo efficiente e autonomo di autoconservazione. Una volta completata la sua creazione, poi, o la distruggeva per ricominciare da capo o cambiava gioco. Era ossessionato dal capire come funzionano le cose e il modo più semplice era quello di sperimentare di persona i procedimenti che stanno alla base della loro ideazione e creazione.
Di certo lo riteneva molto più soddisfacente che tentare di comprendere gli esseri umani. Non che non ci avesse provato, ma era stato drasticamente deluso talmente tante volte, che ci aveva perso il gusto. Ad un certo punto nella sua vita aveva deciso che non aveva assolutamente senso sforzarsi di trovare a tutti i costi qualcosa di stimolante e appagante negli individui che lo circondavano: si limitava ad accettare passivamente ciò che gli veniva dato senza chiedere nè più, nè meno. Era stato uno dei motivi che lo aveva spinto a non cercare Iris dopo il loro distacco delle vacanze estive, quel lontano agosto di tre anni prima.
Iris.
Non aveva assolutamente nessun tipo di autocontrollo quando c’era lei di mezzo e la cosa lo aveva sempre messo in crisi, più di quanto avesse mai avuto il coraggio di ammettere a sé stesso. Non aveva assolutamente idea di come gestire le sue reazioni emotive, dal momento in cui era costretto a vederla come parte della sua quotidianità. Si era davvero convinto di essersela lasciata alle spalle: una storia estiva, breve ed esaltante, come intrallazzo per smorzare il vuoto lasciato dalla ragazza con cui stava in precedenza. Allora, perché adesso si sentiva come un ragazzino alle superiori?
Quella mattina si era alzato con l’alzabandiera, come tutti giorni, e aveva provato a rilassarsi massaggiandosi e lasciando che la sua mente vagasse tra le sue fantasie più intime e perverse. Aveva appena iniziato a sentire montare il piacere che si era ritrovato a pensare a due occhi marroni grandi, con piccoli cerchi concentrici verdi che si irradiavano dalle pupille scure e dilatate alla cornea lucida e luccicante; due gote arrossate e che incorniciavano un volto ovale; due labbra semi aperte gonfie e inumidite che lasciavano passare un respiro affannato e aritmico; un collo aggraziato ed esposto così tirato da far risaltare il pulsare frenetico della carotide; un seno pieno e morbido che si abbassava e si rialzava sincronicamente con il battito del cuore della donna; capelli rossi sciolti che disegnavano boccoli ramati sulle spalle nude. Poi la figura femminile del suo filmino interiore aveva cominciato a parlare: una voce dolce, flebile e carica di una vibrante passione repressa. <<Sì, Signore!>>. <<Brava bambina!>>. Aveva immaginato di risponderle. La ragazza nel suo sogno aveva aperto la bocca e tirato la lingua fuori, e aveva proteso il collo più in alto per avvicinarsi di più al suo cazzo: quello che lui, sia nelle sue fantasie che nella realtà, stava tenendo in mano e segando con lussuria. Continuando a masturbarsi ad occhi chiusi nella comodità del suo letto, si era costretto a non distogliere l’attenzione dalla sua fantasia: la ragazza aveva le mani legate dietro la schiena, lui con una mano continuava a far scorrere la pelle dello scroto in alto e in basso lungo il fusto del suo membro pulsante a pochi centimetri dalla lingua di lei, grondante di saliva, mentre lui stava tenendo l’altra mano aggrappata ad una corda. Quest’ultima era agganciata ad un piccolo anello su un collare di pelle che la ragazza stava indossando e ogni strattone alla corda, lei produceva un suono così allettante da spingerlo sempre più oltre il limite della sopportazione. <<Vieni qui>> Immaginò di dirle mentre la tirava a portata di schizzo. L’orgasmo stava montando feroce dentro di lui e voleva aggrapparsi a quella fantasia per godersela fino alla fine, fino al momento in cui avrebbe potuto immaginare anche la bocca della ragazza che accoglieva e succhiava forte il suo pene, per ingoiare fino all’ultimo residuo del suo sperma. Aveva aumentato la velocità della sua mano perchè ormai stava per raggiungere il culmine del piacere. Era stato quel momento che gli aveva reso chiaro chi fosse stata la protagonista dell’intera sua fantasia: <<Oddio, si. Iris, sto venendo! Apri la bocca!>>.
<<Concentrati!>>
Scosse la testa con gli occhi chiusi, strizzandoli tanto da farsi venire male alle meningi. Non era stata una mossa intelligente masturbarsi pensando a lei quella mattina, come non era furbo pensare a quella fantasia in quel momento, in mezzo ai suoi studenti: aveva un’erezione considerevole e se qualcuno lo avesse chiamato non avrebbe potuto alzarsi. <<Finiscila di fare il bambino!>> Si ammonì. Doveva finire di visionare e valutare quegli elaborati entro la fine della giornata!
“Lui alzò l’orlo del suo maglione per poter toccare dolcemente il suo seno attraverso il satin del reggiseno. Tabitha si lasciò sfuggire un gemito, un suono roco e crudo che lo fece ardere. […]”
Dopo le lezioni non aveva alcuna voglia di tornare a casa: il sole era meravigliosamente caldo e la brezza che spirava dal mare era piacevole. Iris si era messa da poco a leggere uno dei libri della sua saga Urban Fantasy Preferita: quella dei Dark Hunters di Sherrilyn Kenyon. Più precisamente era a metà del libro di Tabitha e Valerius. Per la complessità della loro relazione e dei loro personaggi ne era alquanto affascinata. Al momento, tuttavia, a scena che stava leggendo le fece venire in mente il sogno bagnato della notte appena trascorsa:
Dio quanto vorrei le sue mani addosso in questo momento!
<<Cosa?>>
<<Ho solo detto “Ciao”>>
Iris alzò la testa dal suo pc di scatto. Aveva deciso di fermarsi ad uno dei tavolini del piazzale esterno alla scuola, dove un piccolo cocktail bar vendeva bevande fresche al gusto di frutta tropicale. Era talmente immersa e coinvolta nella lettura e nei suoi pensieri che doveva aver parlato ad alta voce, senza accorgersene. Non si era nemmeno resa conto che qualcuno le aveva rivolto la parola.
Ci mise un attimo a riprendere il contatto con la realtà: i suoi occhi cominciarono a muoversi a destra e a sinistra, come un attore che ha perso la battuta e scorre velocemente lo sguardo sul copione per riprendere il filo del discorso.
Il ragazzo probabilmente l’aveva salutata, lei non lo aveva sentito. Aveva espresso ad alta voce il suo stupore, lui ha pensato che quell’esclamazione fosse stata rivolta a lui e quindi ha sentito il bisogno di chiarirsi.
<<Ciao… no, volevo dire…. perdonami! Stavo leggendo un libro e probabilmente stavo parlando da sola>> Disse lei imbarazzata.
<<Ah…non ti preoccupare. Cosa leggevi di bello?>>
<<Uno dei miei libri preferiti: vampiri, dei dell’Olimpo, amori impossibili, e scene di sesso descritte incredibilmente bene!>>
<<Interessante>> Rispose, alzando le sopracciglia, il ragazzo davanti a lei.
<<Comunque scusami se ti ho disturbato, io sono Lucas. Seguiamo insieme la lezione del professor Archer. Mi è sembrato curiosa la vostra interazione in classe l’altro giorno: tu per caso lo conosci? Hai già fatto l’esame con lui?>>
<<Piacere, Iris. Comunque no: non ho mai dato esami con il professore, la nostra conoscenza è più di tipo familiare. Lui è il miglior amico di mio cognato: ci conosciamo da un po’. Però mi ha aiutato a superare un esame di Statistica qualche anno fa: con la matematica io sono un disastro>>
Ridacchiò la ragazza di sé stessa, imbarazzata.
<<Ah…mi era parso che ci fosse un po’ troppa confidenza per essere la prima volta che vi vedevate>>
<<In effetti, devo dire, che mi ha messo profondamente in imbarazzo. Ha veramente esagerato!>>
<<Magari ha una cotta per te da sempre>>
Iris ci mise esattamente il tempo di un battito di ciglia per rendersi conto che una risposta sbagliata avrebbe potuto mettere nei guai lei, Roland e la sua carriera all’Università: non poteva rivelare la loro passata relazione. Misurò bene le parole, sforzandosi di far sembrare la sua reazione il più naturale possibile.
<<Non credo. Non si ricordava neanche chi fossi. Lo ha realizzato solo dopo la lezione, quando gli ho consegnato il compito e ha visto il mio nome sul foglio>>
<<Credo che il professor Archer sia un tipo abbastanza solitario. Tutto Numeri e Computer. Tra l’altro non è che socializzi più di tanto con gli altri professori, a quanto sembra. Inoltre ha un atteggiamento molto arrogante: comprensibile data la cattedra che ha ottenuto qui all’Università nonostante la sua giovane età. Abbiamo fatto delle ricerche: pare che abbia redatto parecchie pubblicazioni. Tutte improntate sulla Matematica e sulle problematiche legate alla didattica della materia. Ho letto che ha anche lavorato alla creazione di giochi di ruolo per Nerd. Non invidio affatto il tipo di vita sociale di quell’uomo: probabilmente il professore Archer è un Nerd di prima categoria che non ha idea di come rapportarsi alle persone. Forse è per quello che ha fatto quella scenata in classe…>>
Iris si irritò. Smise di ascoltare e usò tutto il suo autocontrollo per cercare di calmarsi. Come osava questo ragazzino sputare sentenze a mezza bocca su una persona conosciuta appena? Sperava davvero, con questa mossa, di apparire più interessante ai suoi occhi?
Riflettendoci lei non aveva affatto il diritto di difenderlo, visto come si era comportato con lei. Tuttavia, non aveva fatto niente di male. Lui non aveva mai saputo quello che lei provava. Non era giusto incolparlo per le sue decisioni: probabilmente se fosse stato nei suoi panni avrebbe agito nello stesso modo. Inoltre, non c’era nulla di male ad essere Nerd: lei stessa era appassionata di giochi di ruolo. Era vero che Roland fosse arrogante: ma se lo meritava anche. Era un bell’uomo, intelligente, responsabile, maturo, autonomo, estremamente affascinante e a dir poco interessante. Questo pivello probabilmente non aveva mai lavorato in vita sua, a giudicare dall’abbigliamento, doveva essere un figlio di papà, viziato e fissato con la palestra.
Iris sentì il bisogno di mollare un manrovescio dritto in faccia a Lucas, ma dovette fare appello alla sua parte razionale: doveva zittirlo, senza far trapelare le sue questioni personali con Roland.
<<Perdonami, se mi permetto di esprimere un’opinione personale come critica al tuo giudizio. Non credo che etichettare una persona come stai facendo tu sia carino, soprattutto perchè leggere la biografia di un individuo non vuol dire necessariamente conoscerlo. Io ti capisco, nel senso che anch’io di primo acchito quando lo conobbi, avevo avuta un’impressione non molto esaltante di lui: credevo che fosse un arrogante, maniaco del controllo, fissato, poichè questa, in effetti, è l’immagine che lui tende a dare di sé. Ti posso assicurare però, avendo avuto occasione di parlargli anche in contesti meno formali di quelli accademici, che è una persona estremamente competente, affidabile e anche molto interessante. Ha i suoi difetti, come li abbiamo tutti. Ciò non significa che le sue particolarità come individuo lo rendano automaticamente un bersaglio per delle considerazioni così superficiali. Credo che nemmeno a te piacerebbe essere etichettato in questo modo su due piedi da qualcuno che neanche ti conosce. Non pensi? Inoltre anch’io sono una Nerd…>>
<<Scusami, non volevo offenderti. Non intendevo dire che tutti i Nerd sono delle persone incapaci di relazionarsi con gli altri: per esempio tu non sembri una di loro. Inoltre, non avevo capito che foste amici…>> disse Lucas per cercare di rimediare allo scivolone che aveva appena fatto e anche per sondare che tipo di relazione ci fosse tra Iris e il Professore.
Iris intuì lo sgambetto: <<Non siamo amici, siamo solo conoscenti. Indipendentemente dal fatto che mi stia simpatico o no, non ritengo giusto che sia vittima di tali considerazioni. Anch’io sono stata vittima di pregiudizi quando ero una ragazzina. Avrei risposto in questo modo anche se avessi parlato di chiunque altro in questo campus, te lo garantisco>> rispose sorridendo in modo pacato ma fermo.
<<Permettimi allora di offrirti qualcosa da bere per rimediare>>
Roland stava facendo una passeggiata sul lungomare, quando una chioma rossa legata a coda di cavallo lo aveva distratto. Iris era seduta su uno dei tavolini del Tiki bar più popolato dagli studenti della spiaggia, sorseggiava da un bicchiere di cristallo a forma di Ananas, con polvere di farina di cocco spolverata sul bordo, era riempito con una bevanda giallo pastello, coperta da uno strato di schiuma bianca alta circa tre centimetri. Immersa in essa, vi erano sistemati una cannuccia verde e un ombrellino arancione di carta e incastrata sul bordo del bicchiere, una fetta di ananas fresca. Pinha-Colada alle quattro del pomeriggio: era proprio da lei. Pensò tra sè, sorridendo, il ragazzo.
Procedendo verso di lei si accorse, poi, che non era sola. Stava conversando con un altro degli studenti che partecipavano al suo corso. Lucas Dickson aveva circa trentacinque anni, qualche anno in più di Iris se non ricordava male. Non aveva particolari doti per la materia di Roland, il suo compito non era stato tra i più brillanti, ma aveva sbirciato nel libretto scolastico del ragazzo: laureato in ingegneria meccanica, fuori cordo di dieci anni, ottimi voti in informatica, in storia della comunicazione di massa, in semiotica e in politica e media nell’età contemporanea. Un vero e proprio aspirante politico.
Archer non si considerava un esperto nella comunicazione, né aveva particolare intuito nel riconoscere il significato del linguaggio non verbale delle persone, ma era abbastanza sicuro che quel tipo stesse cercando di fare colpo su Iris.
Da una parte, il pensiero lo incuriosì: moriva dalla voglia di vedere uno dei suoi studenti in azione, soprattutto conoscendo il bersaglio di Lucas. Iris non era una donna facile: non si faceva impressionare da lusinghe o mosse scontate. Lei era estremamente intelligente e molto più competente di lui nel gestire questo tipo di situazioni.
Decise di tagliare per la stradina in mezzo alla spiaggia, in modo tale da aggirare il piano bar e potersi sedere a portata di orecchio, abbastanza vicino da poter osservare la scena senza farsi vedere né riconoscere.
Trovò uno sgabello vuoto al bancone, ordinò un Moscow Mule e si aprì un giornale davanti alla faccia, cercando di assumere un atteggiamento il più disinteressato possibile.
Sembro proprio uno stalker. Pensò. Speriamo che nessuno dei miei studenti mi noti o non riuscirò a godermi lo spettacolo. Sorrise tra sé e sintonizzò l’udito in direzione della coppia che stava spiando.
Lui stava sproloquiando su qualcuno che conoscevano entrambi. <<…probabilmente il professore Archer è un Nerd di prima categoria che non ha idea di come rapportarsi alle persone. Forse è per quello che ha fatto quella scenata in classe. Voleva fare il duro con una studentessa mettendola in difficoltà e non si è reso conto di aver fatto la figura del cafone. Non è stato affatto giusto metterti in imbarazzo in quel modo. Avevo voglia di scendere dalle scale e dargli una bella lezione. Deve aver sentito il mio commento di quando gli ho dato del coglione, per questo se n’è ritornato alla cattedra a fare il suo lavoro, invece di continuare a molestarti…ma chi si crede di essere!>>
A Roland si bloccò il respiro. Lo pervase una sensazione di disgusto misto rabbia, seguita poi dal senso di colpa: è questo ciò che hanno pensato di lui? Aveva davvero fatto la figura del nerd impacciato davanti a centoventi studenti? Perché lei non diceva niente? Anche lei pensava questo di lui? Conoscendola, se lei non avesse concordato con Lucas, lo avrebbe zittito, eppure se ne stava lì a guardarlo con la faccia serie ed inespressiva: come poteva permettere a qualcuno di dire queste cose su di lui? Aveva fatto bene ad allontanarsi da lei. L’aveva ampiamente sopravvalutata: non aveva capito nulla di lui. Non si meritava la sua fiducia e il suo rispetto.
Una parte di Roland cominciò a chiedersi se avesse fatto qualcosa per ferirla a tal punto da farsi odiare così tanto da lei. Se fosse stato vero, però, come poteva giustificare il comportamento della ragazza il giorno prima? Magari Iris non stava dicendo niente perchè aveva paura che dalle sue parole Lucas avrebbe potuto intuire che tra loro c’era stata una storia. Oppure Iris stava solo aspettando di sputtanarlo per bene con tutto il corpo studentesco.
il ragazzo era talmente immerso nelle sue paranoie che non si accorse che Iris aveva interrotto Lucas. Quello che udì lo sconvolse.
Lei lo stava difendendo, a livello umano e a livello professionale: era riuscita a rispondere a tono a quel babbeo senza compromettere né la propria posizione da studentessa, né il suo ruolo da professore. Lucas era in difficoltà, lei gli aveva sottolineato il suo fallo nel definire i Nerd comunicativamente ignoranti e gli aveva dato una bella lezione sull’essere un arrogante poppante sputa-sentenze.
Lucas era stato spiazzato: l’unica mossa che gli fosse rimasta per rimediare alla situazione e per avere l’opportunità di parlare ancora con lei fu quella di offrirsi di pagarle da bere.
A quella richiesta, il cuore di Roland accelerò e una scarica di adrenalina gli percorse le vene: non si rese neanche conto che il suo corpo si stava muovendo. Con lui no. Fu l’unico pensiero che gli passò in mente mentre si dirigeva a passi lunghi verso il tavolino dei due studenti.
<<Professor Archer, Buongiorno!>>
Dio, ti ringrazio.
Iris non sapeva come avesse fatto ad avere un tempismo così preciso: Roland arrivò accanto a loro nel momento preciso in cui lei avrebbe dovuto rispondere alla richiesta di Lucas per il drink.
<<Buongiorno Signorina Lealthy, Signor Dickson>>
<<Ehilà, professore. Ha finito di lavorare per oggi e si gode il sole?>>
Lucas riusciva ad essere molto disinvolto nel suo atteggiamento ipocrita.
Roland lo fissò negli occhi insistentemente, poi iniziò a squadrarlo dall’alto al basso con sufficienza prima di rispondere.
<<Devo ancora ultimare le revisioni di alcune delle vostre relazioni: a dire il vero, per coincidenza mi mancano solo le vostre due>>
<<Sia buono con me, Professore>> Lucas provò a fare il simpatico con una battuta che iris non capì. Non era particolarmente concentrata sul ragazzo di fronte a lei: invece, continuava a fissare Roland. Qualcosa nel modo in cui stava guardando il suo compagno di corso le fece intuire che il suo caro professore aveva assistito all’intera conversazione.
<<Non si preoccupi Signor Dickson, sono una persona estremamente comprensiva, ma non è mia consuetudine fare favoritismi: avrà il voto che merita!>> Ghignò Roland compiaciuto, al ragazzo palestrato.
Iris soffocò una risata, mascherandola con un colpo di tosse: Lucas non aveva assolutamente idea della scia di sventura che si sarebbe abbattuta su di lui da questo giorno in avanti. Roland sapeva essere estremamente vendicativo quando voleva.
<<A tal proposito, Signorina Lealthy, se al momento non è troppo impegnata>> Chiese Archer fissando eloquentemente Lucas e Iris <<vorrei chiederle se potessi rubarle qualche minuto del suo tempo per darmi spiegazioni riguardo una parte della sua relazione: credo non abbia capito bene cosa chiedeva la consegna. Le dispiacerebbe seguirmi un attimo?>>
<<Certo Professore. Arrivo subito>>
Iris lasciò che Roland la precedesse per poter riprendere fiato. Aveva voglia di saltargli al collo e ringraziarlo del salvataggio. Ammesso che questa mossa servisse per aiutarla a svincolarsi da una situazione spiacevole. Se invece avesse sbagliato interpretazione e si fosse offeso perché lei lo aveva difeso? In ogni caso avrebbe sfruttato la sua intromissione per allontanarsi da Lucas il più velocemente possibile. Ma non voleva dare al ragazzo l’impressione che non vedesse l’ora di scappare. Sbuffò in maniera teatrale e roteò esageratamente gli occhi: <<Mi spiace Lucas, sarà per un’altra volta. Chissà cosa vuole>>
<<Tranquilla. Muoviti prima che decida di farti rifare il compito per ripicca. Sembra uno che ci goda a far sudare freddo i suoi studenti. Ci vediamo a lezione>> Disse il ragazzo lisciandosi il ciuffo di capelli biondi sulla testa.
Sei fortunato che non abbia sentito quest’ultimo commento. Pensò Iris maligna.
<<Certo. Buona giornata>>
Si diresse nuovamente verso l’Istituto allungando il collo per vedere dove fosse finito Roland.
Per fortuna che è alto.
lo seguì fino a raggiungerlo presso il corridoio che portava al suo ufficio. Camminava con un andamento che le ricordava quello di un leone che passa in mezzo al suo branco. Aveva le spalle rigide, la schiena eretta, una mano in tasca dei pantaloni, con il pollice piegato che fungeva da gancio per il mazzo di chiavi con cui accedeva al locale da dove gestiva i suoi colloqui, l’altra mano era appoggiata alla borsa a tracolla quadrata, dove teneva il portatile, la testa alta con il mento austero. Il muscolo della sua mascella però pulsava: come se sotto le labbra stesse stringendo i denti.
Sembra nervoso.
<<Professore>>
<<Dica>>
<<Lei era lì, vero? ha sentito quello che ha detto Lucas>>
<<Le ho sentito dire che non siamo amici>>
<<Non volevo che Lucas si facesse strane idee, né che facesse girare pettegolezzi che avrebbero potuto compromettere la sua posizione all’interno del corpo docenti e del corpo studenti>>
<<Lo hai fatto per proteggermi quindi?>>
Roland aveva le chiavi inserite dentro la maniglia della porta ma prima di girarle, alzando eloquentemente un sopracciglio, la fissò attendendo la risposta.
Iris abbassò lo sguardo con le gote arrossate. Roland aprì la porta e da galantuomo la fece accomodare prima di entrare anch’egli, subito dietro di lei.
<<So che non hai bisogno di essere difeso. Ma…>>
Roland fece scattare la serratura della porta per chiuderla e le piombò addosso. Afferrò Iris per le braccia, la tirò indietro verso il proprio petto e usò il suo corpo come perno per farla voltare. La spinse la schiena contro il muro vicino alla porta, bloccandola con le mani lungo i fianchi. Fece poi calare la sua bocca su quella di lei, bloccandole il respiro. Le labbra di Archer erano esigenti e rudi. Iris non riusciva più a pensare lucidamente. Al diavolo dove fossero, al diavolo il passato, al diavolo la conversazione di prima, al diavolo il rancore. Non si era resa conto di quanto volesse baciarlo fino a quel momento. Roland iniziò a succhiarle e morderle le labbra ed Iris non seppe più resistere: lo lasciò entrare. La lingua di lui cominciò ad esplorarle la bocca come un animale affamato e assetato, come se quel bacio fosse il nutrimento di cui si era privato da lungo tempo. Poi lui si avvicinò ancora: le intrecciò una mano tra i capelli per poterle inclinare la testa come preferiva. L’altra mano rimase su una delle braccia di Iris . Roland premette il petto contro i seni rigonfi di lei, mentre piazzava una gamba in mezzo a quelle della ragazza. Iris si sentiva obnubilata dalla carica sessuale di quella situazione. Non poteva più resistere, non poteva più scappare, non poteva più negarsi. Chiuse gli occhi, prese un respiro e fece l’unica cosa che il suo cuore le chiedeva di fare: si lasciò andare.
Vittoria!
Quando la sentì sciogliersi tra le sue braccia Roland seppe che niente l’avrebbe più fermato, di certo non lei: la tacita accettazione di Iris alla sua passione sfrenata scoppiata come una bomba dentro di lui, gli gonfiò il petto di soddisfazione.
L’avrebbe avuta, adesso, all’Università: sarebbe stato un modo carino per realizzare una delle loro fantasie di cui avevano parlato. Nessuno avrebbe visto o sentito niente: la stanza era insonorizzata per garantire la privacy degli studenti, inoltre l’ufficio era l’ultimo del corridoio, l’unica porta adiacente alla sua era quella dell’ascensore. Le finestre avevano le claire semi abbassate per impedire al sole di rendere quella stanza un forno, e davano comunque sulla strada che passando intorno all’edificio, conduceva all’ingresso posteriore.
Mentre la baciava non poteva fare a meno di accarezzarla: voleva riprendere confidenza con quella pelle, quel corpo, quel viso, quei fianchi, quel collo, quel seno. Voleva sentirla di nuovo sua.
Mia
Non aveva assolutamente il diritto di considerare la possibilità di chiamarla con quell’appellativo dopo tutto il tempo passato, ma non riusciva a farne a meno. Nella sua mente, però, vorticava frenetico il pensiero di quel Lucas mentre la accarezzava, la baciava, le sussurrava all’orecchio, le faceva passare una mano sulla coscia e poi procedendo verso il retro del corpo di lei le afferrava il sedere.
Inaccettabile
Come se non ci fosse la possibilità che qualcun altro, negli anni che avete passato separati, le avesse già messo le mani addosso…
Magari sta già con qualcuno, glielo hai chiesto prima di saltarle addosso come un disperato?
No, lei non sta con nessuno. Non avrebbe permesso ad anima viva di avvicinarsi a lei in questo modo se avesse avuto una storia in corso. La conosco: lei è fedele, è onesta, e adesso è mia!
Finì così il dialogo interiore tra Roland e gli spettri della sua anima. L’esito bruciava intensamente nei suoi occhi spalancati e irremovibili mentre guardava fisso Iris, che tremava e si contorceva in risposta al suo tocco esperto.
La ragazza ansimò con il volto sconvolto dall’eccitazione, mentre Roland spostava la bocca sul collo di lei. L’esigenza di possederla ruggiva come un’animale in gabbia dentro Roland, eppure decise di procedere con estrema lentezza, per godersela fino in fondo con tutta calma. Le passò la lingua sulla curva tra la spalla e il collo, lì dove i vampiri, secondo le leggende, si attaccano alla loro preda per nutrirsi. Una mano la teneva dietro la schiena per sostenerla, nel caso le ginocchia avessero ceduto per l’estasi; l’altra cercava di scoprirle la pelle, togliendole i vestiti delicatamente, come se lei fosse fatta di vetro e gli indumenti che stava indossando di carta velina. Nella penombra dell’ufficio silenzioso gli ansimi di Iris erano l’unica cosa che guidavano ogni singola azione di Roland.
In un tempo che sembrò interminabile, la camicia di Iris era sul pavimento e così la sua gonna: Roland guardò la Sua Iris, deliziosamente seminuda e febbricitante, come uno scultore ammira la sua opera d’arte appena conclusa. La fece aderire con la schiena al muro e si abbassò, fissandola dritta negli occhi, ebbri dal piacere, lasciando nel contempo una scia incandescente di baci a fior di pelle. I capezzoli della ragazza erano turgidi, e spingevano contro il tessuto interno del reggiseno, smaniosi di essere toccati. Ad ogni centimetro verso il basso che Roland percorreva sul corpo della ragazza, la pelle di lei si tirava e si increspava per i brividi. In mezzo alle gambe Iris era già bagnata e Roland non vedeva l’ora di tuffarsi in quella pozza deliziosa con bocca, lingua, dita e cazzo.
Roland fece strisciare leggermente le unghie su entrambi i fianchi della ragazza mentre si sistemava in ginocchio davanti a lei, scese sulle cosce fino alle ginocchia deboli e poi risalì da dietro con le mani ben aperte e ogni singolo millimetro dei suoi palmi che si adattavano alla curva del voluttuoso culo dI Iris. Lui sapeva dall’aspetto che aveva Iris in quel momento, dal suo battito cardiaco concitato e dai suoi gemiti languidi, che lei stava disperatamente aspettando il suo tocco. Roland, però, voleva un ultima cosa, prima: il permesso.
Si sarebbe fermato, avrebbe potuto fermarsi se lei glielo avesse chiesto, pur sapendo che non lo voleva davvero: avrebbe rispettato le sue parole. Come un peccatore che genuflesso chiede perdono alla propria divinità, Roland respirò profondamente e cercò di spingere fuori dalla bocca la sua richiesta.
«Iris, vuoi che mi fermi o vuoi che continui?»
Cosa? Perchè? Cosa sta succedendo? Perché si è fermato?
Iris tentò di uscire dalla nebbia di sensazioni in cui era avviluppata la sua mente. Lui le aveva fatto una domanda. Lei non aveva assolutamente compreso che cosa le sue orecchie avessero appena udito: la maggior parte della sua attenzione era dedicata a tenere a bada la sensazione di incompiuto in cui il suo corpo era rimasta. Lui si era fermato: la stava accarezzando, la stava facendo impazzire. Lei aveva iniziato a strusciare le gambe una sull’altra per provare ad ottenere un minimo di sollievo dalla bruciante esigenza che le faceva pulsare e bagnare il sesso sempre di più.
Credo si aspetti una risposta…
Oddio, quindi non continuerà finchè non gli risponderò?
Iris corrugò la fronte: non era in grado di dire a Roland che non aveva capito: la sua voce era chiusa tra il diaframma e lo stomaco.
Roland sorrise un attimo prima di riformulare la frase
«La nostra chiacchierona ha perso l’uso della voce, per caso?»
Ridacchiò tra sé, compiaciuto, poi tornò a guardarla negli occhi, serio.
«Iris, io ti voglio, e credo che anche tu voglia me, ma ho bisogno che tu torni indietro dal paradiso un attimo e mi dici se vuoi che ci fermiamo qui. Se una parte della tua te razionale ritiene che questa cosa possa farti male ho bisogno di saperlo ora e io mi fermerò»
Che presuntuoso!
Chi è che vuole fermarsi? Sei matto?
Chissenefrega, del mio dolore, maledizione! Non vedi che ti sto implorando di toccarmi?
Iris tentò in ogni modo di rendere ogni suo pensiero ben chiaro e leggibile nel suo sguardo: nonostante lo sforzo, non riusciva a emettere un suono che non fosse un gemito.
Scostò una mano dal muro dietro si sé e l’appoggiò sul viso del bellissimo ragazzo con lo sguardo implorante ed eccitato inginocchiato davanti a lei.
Con movimenti lenti e esplicitamente provocanti, Iris pose le mani sopra quelle di Roland, che ancora indugiavano sui suoi glutei, e le tirò leggermente verso l’alto, facendo scivolare le dita lunghe del ragazzo al di sotto degli slip. Poi la ragazza si passò le mani sui fianchi, sulla pancia, sul seno, sulle braccia, sulle spalle. Abbassò le spalline, slacciò la chiusura posteriore sulla schiena e fece scivolare il reggiseno giù dalle braccia. Lo tenne appeso su un dito un attimo prima di lasciarlo cadere a terra, tutto senza smettere per un secondo di guardare Roland.
«Sei sempre stata la mia studentessa preferita» Disse Roland sorridendo, mentre la ragazza si appoggiava nuovamente al muro fornendogli un tacito consenso.
Roland aveva il respiro affannato, si umettò le labbra e squadrò ogni centimetro della pelle esposta di Iris: si fermò all’unica porzione di quella succulenta ragazza che era ancora coperta con un ridicolo lembo di stoffa. L’istinto di strapparlo era cocente, ma decise di mantenere il ritmo lento e controllato che sapeva l’avrebbe fatta impazzire. Avrebbe dato sfogo alla sua furia solo al vederla implorare pietà.
Sorridendo del suo piano diabolico, fece scivolare lentamente verso il basso gli slip di Iris seguendo il movimento verso il basso delle sue mani con il viso: teneva la sua guancia, ispida per la barba crescente, a un millimetro dalle gambe di Iris, affinchè lei sentisse il respiro caldo che usciva dalle sue labbra dischiuse. La pelle di iris si tese per i brividi.
Dopo averla denudata completamente, spostò le ginocchia appoggiate al pavimento in mezzo ai piedi ancora avvolti nelle scarpe con il tacco che lei adorava indossare, e le allargò le gambe, fornendosi un accesso più facile al fiore succoso in mezzo alle sue cosce.
Si avvicinò alle grandi labbra pulsanti e gonfie della ragazza, strusciando il naso sulla porzione di pelle appena al di sotto del clitoride, anch’esso ipersensibile, per l’eccitazione. Diede una lunga passata lungo la fessura del suo sesso, facendo aderire tutta la lingua a quella pelle umida e succulenta. Lei gemette. Lui cominciò ad insinuarsi all’interno: leccava ogni singola increspatura, ogni singolo avvallamento, ogni singolo centimetro la facesse contorcere dal piacere.
Iris pose le mani sulla sue spalle per evitare di crollare a terra. Roland non vedeva l’ora di vederla contorcere per l’orgasmo: si avventò sul clitoride titillando, succhiando e leccando. Venne il turno delle dita: ne infilò una, per poter allargare per bene l’apertura. Seguì il secondo con cui si mise a sgrillettare il punto g della ragazza, con il pollice sfregava il clitoride di Iris, mentre la lingua continuava a vorticare intorno al sesso della sua amante. Ad ogni movimento e risucchio, Iris gemeva, si bagnava e si contraeva intorno a lui. Era sul punto di venire e lui voleva vederla: voleva guardare quel viso contorcersi dall’estasi.
Si erse dalla sua posizione, la sollevò dal sedere, aiutandola ad agganciare le gambe attorno ai propri fianchi e la dispose a pancia in su e gambe aperte sopra la sua scrivania. Iris era bellissima: le gote arrossate, i capelli stropicciati, gli occhi lucidi e le labbra gonfie.
Ricominciò a stuzzicarla con le dita, mentre l’altra mano scivolò in alto sul corpo di lei ad afferrarle il seno destro. Iris si agganciò forte al bordo del tavolo e allargò ancora di più le gambe. Roland iniziò a muovere le dita dentro e fuori da lei, con movimenti sinuosi dal basso verso l’alto. Iris stava ormai urlando: Roland usò il pollice per scoprirle il clitoride prima di posarci sopra le labbra e succhiare quel piccolo bocciolo come un lecca-lecca, a ritmo con il respiro affannato della ragazza. Iris contrasse i muscoli: era pronta a lasciarsi andare.
«Vieni per me…Così, Piccola Vieni per me»
Iris cacciò un urlo così forte che se la stanza non fosse stata insonorizzata, chiunque l’avrebbe sentita fin dall’altra parte della città. L’intensità dell’amplesso le aveva fatto contrarre i muscoli talmente tanto e per così tanto tempo che ora si trovava in uno stato di semi incoscienza. Crollata sulla superficie liscia della scrivania dell’ufficio, sentiva il suo corpo come se non le appartenesse più: le sembrava che i propri confini corporei fossero dilatati, le sembrava di galleggiare in un fluido denso e tiepido che le scrosciava addosso con onde elettriche continue. La mente annebbiata: le orecchie le fischiavano, i rumori parevano ovattati. La vista offuscata: il soffitto di cartongesso grigio sembrava ricoperto da una coltre di nebbia luminosa. Percepiva le proprie pulsazioni picchiettare forte contro la pelle sui polsi, sulla carotide, sulle caviglie, in mezzo alle gambe, sulla cervicale, in fondo alla schiena. I muscoli flosci e percorsi da piccole scosse elettriche che si contraevano spasmodicamente. La bocca spalancata in un’espressione che traduceva l’immensa sorpresa, gioia, soddisfazione e beatitudine che stava provando in quel momento.
«Riprenditi, piccola, non ho ancora finito con te»
Non aveva assolutamente idea di quanto tempo passò a godersi l’amplesso. Si riprese per vedere Roland accanto a lei che le accarezzava il viso con aria gongolante e tracotante di orgoglio.
Iris utilizzo ogni fibra di controllo che le fosse rimasta per controllare i movimenti dei suoi arti superiori: sollevò la mano e si appese alla cravatta rossa del ragazzo. Lo dirò verso di sé.
«Sei bellissima»
Roland aveva appena fatto in tempo a scansarsi di lato per non essere preso in pieno dal fiume che la ragazza espulse per l’intensità dell’orgasmo: il pavimento era un lago ma almeno i loro vestiti erano salvi.
Iris non mollava la presa sulla cravatta, spostava lo sguardo dagli occhi alla bocca di lui, incapace di dare voce al mare di emozioni e sensazioni che stava provando.
Dio, quanto mi sei mancato.
Non hai idea di quante volte ti abbia sognato.
Lo so che probabilmente per te è solo una scopata, so che per te sono stata solo una storiella estiva.
Se solo sapessi che stramaledetta cotta che avevo per te, che ho ancora per te, dannazione!
Siamo appena ai preliminari e io sono già in orbita: come diavolo fai ad essere così dannatamente bravo, maledizione!
Roland si avvicinò al viso della ragazza, intuendo il desiderio non espresso di essere baciata.
Fu un bacio lento e passionale, delicato e dolce, finché ad iris non si riattivarono gli ormoni.
Rigirò la cravatta sul dorso della sua mano per tenerlo vicino a sé, con l’altra intrecciò le dita ai capelli di Roland: aveva voglia di divorarlo, di sentirlo più vicino, a fondo dentro di lei.
Iris ricambiò il bacio con passione e trasporto: provò a scostare una gamba per poter tenere il corpo del suo professore stretto tra le cosce ancora bagnate. Il ragazzo intuì le sue intenzioni: Districò le mani dalla cravatta e dai capelli e gliele strinse insieme in una delle sue sopra la testa, mentre con l’altra le teneva bloccata la coscia.
«Fai la brava»
Col calvolo!
Iris tentò di ribellarsi, ma sentiva la presa sui suoi polsi che si faceva più stretta.
«Non puoi scappare, ora!»
Più lei si dimenava più lui sorrideva.
«Adesso io ti lascerò la mani e tu rimarrai così, finchè non ti dico di muoverti. Intesi?»
La faceva impazzire il controllo che lui riusciva ad esercitare su di lei. Ci mise qualche minuto per calmarsi. Sapeva che Roland non avrebbe allentato la presa, finchè non avesse ottenuto un consenso dalla sua “piccola schiava”. Iris fece un cenno di assenso e si rilassò, mantenendo la posizione che lui le aveva imposto.
«Brava bambina!»
Roland iniziò ad allentare il nodo della cravatta e a slacciarsi la cintura. La guardava come un uomo che ha appena finito l’aperitivo e non vede l’ora di gustarsi le portate principali.
Si posizionò in mezzo alle gambe aperte di iris: aveva aperto la camicia, slacciato i pantaloni. Si chinò su di lei, completamente inerme. La cravatta penzolava mollemente dal suo collo sfiorandole l’addome. Sapeva che Iris adorava la sensazione del raso sulla pelle e lui moriva dalla voglia di vederla ancora in estasi. Roland usò la propria cravatta per accarezzarle la pelle esposta: ad ogni passaggio i brividi aumentavano, la sua bocca si spalancava e il respiro si faceva più lungo.
Gliela passò intorno ai seni gonfi procedendo a centri concentrici sempre più vicino alla punta dei capezzoli e quando la pelle era sufficientemente tesa e turgida glieli pizzicava con le dita avvolte nel raso, ruotandoli con i polpastrelli avanti e indietro e aumentando progressivamente la pressione.
«Adoro questa espressione»
Roland non riusciva a capire se l’aveva detto ad alta voce o l’aveva solo pensato, ma era sincero.
Lui poteva contare sulle risposte fisiche di Iris, per capire cosa doveva fare per procurarle più piacere.
Il respiro e il battito cardiaco crescevano in risposta al suo godimento. Roland doveva solo sintonizzare i suoi movimenti ad essi per ottenere il risultato che voleva.
Lasciò andare il capezzolo solo quando la tensione del corpo di lei era arrivata al limite: ciò che ne ricavò fu un altro spruzzo violento seguito dall’urlo strozzato del secondo orgasmo di Iris.
«Ma come siamo brave, oggi. Questo era il capezzolo destro. Ora tocca al sinistro»
La portò ad altri due violenti orgasmi usando la stessa tecnica sull’altro seno e poi sul clitoride.
Il suo cazzo pulsava sotto i boxer e sfregava fastidiosamente contro la cerniera aperta dei pantaloni. Aveva bisogno di sfogarsi, di avere sollievo.
Lei giaceva ancora ansimante e sconvolta sulla scrivania.
Se Roland avesse voluto continuare a farla venire avrebbe avuto bisogno di un diversivo.
Le prese le mani e le appoggiò alla sua virilità.
«Lo senti?»
Non si aspettava una reazione simile dal proprio corpo, ma si accorse presto che il suo piano per allentare la tensione che aveva in mezzo alle gambe non era stato ben congeniato: non appena le mani di lei si avvolsero intorno al rigonfiamento della stoffa delle sue mutande, il suo membro fu percorso da una scossa elettrica. L’erezione si fece più intensa e Roland fu sul punto di perdere la ragione e il controllo.
Le allontanò le mani con il respiro affannato e gli occhi chiusi.
Li riaprì di scatto, bramosi e famelici.
«Sei bella da far male»
Concentrati. Non ancora. Riprendi il controllo. Goditela fino alla fine. Concentrati. Cazzo, quant’è duro. Non so se posso resistere ancora. Dio, mi fa impazzire. Respira Roland, respira.
Roland riaprì gli occhi di scatto e fissò brucianti quelli di lei: Voleva che lei vedesse cosa aveva provocato in lui il semplice contatto delle sue mani. Desiderava farle capire quanto lei lo facesse impazzire, quanto gli fosse mancata.
Voleva sentire la sua pelle nuda contro la sua: bloccandole le braccia lungo i fianchi, appoggiò l’addome su di lei, adagiandosi fino a prenderle in bocca i capezzoli.
Roland faceva vorticare la lingua intorno a quei boccioli, li succhiava come fossero caramelle al miele, li mordicchiava tutt’intorno alla corona perchè fossero sempre più sensibili.
Iniziò poi a tintinnarli con le dita per farli tendere sempre di più, lasciandola libera di muovere le mani.
Iris, immediatamente, intrecciò le dita ai capelli di Roland, accarezzandoli e tirandoli in base a come voleva essere baciata, toccata e leccata. Lui seguì le tacite indicazioni della sua amante, scrupolosamente e la portò ad altri tre feroci orgasmi, l’ultimo affondando la lingua di nuovo tra le sue gambe.
Iris era svenuta due volte, il suo battito cardiaco era lento e aritmico. Roland sapeva che l’aveva demolita: adesso le aspettava il colpo di grazia.
«Adesso, piccola, tocca a me»
Se questo è il paradiso, vi prego non riportatemi indietro.
Iris galleggiava incorporea in un’altra dimensione. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era sentita così.
Il contatto delle labbra calde di Roland, che fino a prima indugiava sul suo interno coscia sparì improvvisamente e lei trasalì.
<<Ti prego…>> Fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare, perlomeno ci provò. Tentò di allungare le braccia e le dita, per scoprire dove fosse andato, sebbene non fosse stata ancora in grado di aprire completamente gli occhi. Aveva paura che fosse un sogno e che se si fosse svegliata si sarebbe ritrovata da sola, nel suo letto, bagnata, eccitata e in preda ad una frustrazione tale da farla scoppiare in lacrime.
Dove sei?
Iris sentì due mani su di lei forti e dal tocco dolce allo stesso tempo. Sorrise: la fantasia non era ancora finita. Indugiarono sul suo seno, massaggiandolo, poi scesero lungo l’addome. Il respiro di Roland era talmente profondo da essere udibile perfino al di sopra dei suoi stessi ansimi.
Sembra che anche il mio professore si stia divertendo parecchio.
Iris schiuse le palpebre pesanti e si beò della straordinaria bellezza dell’uomo che aveva dinnanzi.
Era completamente nudo adesso, Il suo ampio petto illuminato dalla poca luce che entrava dalla finestra che si abbassava e si alzava a ritmo. I muscoli delle sue braccia che si flettevano sinuosi. I suoi occhi lucidi e neri come la pece erano concentrati su di lei. In quel momento pensò che se lei avesse mai potuto vedere un esperto mentre cercava di classificare un’opera d’arte avrebbe potuto benissimo avere lo stesso sguardo: attenzione, cura, passione, devozione. L’eccitazione prese di nuovo il sopravvento su di lei e gemette. Lui la fissò e sospirò.
<<Oh sì, adoro farti questo effetto>>
Le sollevò il bacino dai glutei per posizionare la deliziosa vulva di lei a portata del suo membro eretto e pulsante. Lo prese in mano e iniziò a strusciare la punta avanti e indietro sulle labbra schiuse e bagnate, mentre con un dito le tintinnava il capezzolo. Iris era al limite della sopportazione: spostò i talloni dal tavolo e li agganciò all’altezza del fondoschiena di Roland. Tentando di stringere la caviglie una all’altra il più possibile, sollevò il bacino per costringerlo ad entrare dentro di lei.
Lui la bloccò alla scrivania mettendole una mano sul collo.
<<Non ce la fai più vero? Anche a me non è rimasto molto autocontrollo. Ma mi fa impazzire quella tua espressione disperata>>
Iris sapeva che Roland avrebbe iniziato la sua tortura non appena vide quel ghigno biricchino che lei conosceva bene spuntare sopra il suo viso
<<Però ti piace quando faccio questo>>
Roland fece entrare solo la punta e cominciò a muoverla dentro e fuori: ogni volta che usciva con le mani si aiutava per spingere la punta del cazzo verso l’alto e poi ricominciava. La sottomissione di Iris stava lentamente svanendo.
Smettila e scopami, maledizione!
<<Come hai detto scusa?>>
L’ho detto ad alta voce?
La ragazza scosse la testa.
<<Molto bene. Posso continuare allora?>>
Fece un cenno con il capo
<<Sì, cosa?>>
Ma starai scherzando? Bastardo!
Roland si piazzò con la punta del pene all’ingresso della vagina di lei e le bloccò le gambe aperte in modo che non potesse più muoversi.
Dio, è così vicino, ma non abbastanza. Voglio di più. Voglio sentirlo dentro. MALEDIZIONE!
Iris provò a ribellarsi inutilmente: la presa di Roland era salda come l’acciaio.
Lui la stava sbeffeggiando, tronfio di soddisfazione.
<<Si, cosa?>>
Con tutta l’indignazione che poteva esprimere, Iris gli rispose.
<<Sì, Signore>>
Roland entro in un unica passata, spingendo a fondo dentro di lei.
La sensazione e l’emozione furono talmente intense da farla scattare quasi seduta. Lui la tenne stretta a sè, strusciando il naso sul suo collo prima di sussurrarle all’orecchio.
<<Vedi che le brave bambine vengono ricompensate quando sono ubbidienti>>
Iris ansimò: si trovava di nuovo in quello stato mentale in cui non era in grado di opporsi, di parlare, di pensare. Lasciò che le sensazioni di quel momento la pervadessero e si lasciò riportare in posizione supina sulla scrivania.
La spinta violenta che l’aveva portato a penetrarla a fondo lo aveva incendiato.
Lei si stringeva calda e umida intorno al suo membro e si contraeva violentemente a ritmo con il suo cuore.
<<Stai pulsando…Così intensamente che potrei venire stando fermo>>
Era esterrefatto da quanto l’immobilità della ragazza facesse così tanto contrasto con le pulsazioni del suo corpo.
Roland contrasse i muscoli del bacino e il suo cazzo sobbalzò duro dentro la guaina di pelle soffice in cui era avvolto.
La risposta di Iris fu un respiro più lento e profondo del solito.
Adoro quando ti riduco in questo stato ma ti voglio attiva e responsiva
Roland ripetè la contrazione dei muscoli del bacino e vi unì una poderosa spinta, come se potesse squarciarla il due con i suoi soli muscoli.
Finalmente Iris si riprese: il corpo della ragazza si inarcò come se lui le avesse tirato una corda legata al centro del petto.
Era il momento di farla impazzire definitivamente: si ritrasse lentamente, godendosi ogni singolo movimento o contrazione del corpo della ragazza.
Era incredibile come lei riuscisse a dargli l’impressione del risucchio anche con una parte anatomica così distante dalla bocca. Ogni volta che tentava di uscire, lei lo teneva più avvinto. Ogni volta che cercava di riprendere il controllo della situazione, lei minava seriamente la sua capacità di concentrazione. Tra poco sarebbe arrivato oltre il punto limite di sopportazione.
<<Lo vuoi?Vuoi venire piccola?>>
La risposta di Iris fu una violenta contrazione che gli fece ribollire il sangue.
Iniziò a muoversi come un pistone in mezzo alle sue gambe, tenendola per il collo, per le spalle, per le braccia, per le gambe…
Lei urlava ad ogni spinta, ansimava ad ogni ritirata, roteava gli occhi in preda all’estasi e lo guardava con gli occhi di chi implora pietà.
<<Questo è la faccia che voglio vedere: la tua disperazione, non sai quanto mi eccita>>
Iris arpionò le braccia di Roland.
Il dolore provocato dalle unghie della ragazza che scavavano la pelle di Roland si faceva sempre più intenso, ma in quel momento non gli importava: l’intensità di quella presa era proporzionale al piacere che lei stava provando.
<<Così, piccola>>
Roland non sopportava più quella situazione: lei doveva venire prima che lui perdesse definitivamente la ragione. Iniziò a tintinnarle il clitoride con le dita inumidite a ritmo con le sue spinte.
Iris roteò gli occhi all’indietro e cominciò a tremare così tanto da avere le convulsioni.
Roland aveva la testa completamente immersa in una nebbia rossa.
Iris iniziò a urlare
<<Ti prego, Oh mio Dio. Ti prego!>>
A quelle parole Roland abbandonò il suo controllo. Ormai l’unica cosa che lo guidava era la furia: non seppe per quanto tempo continuò a stantuffare dentro di lei il membro duro e gonfio
Lei spingeva con talmente tanta forza che avrebbe potuto espellerlo. Roland strinse la presa su Iris per evitare di uscire prima del tempo.
Mia. Mia. Mia
Se avesse pronunciato ad alta voce i suoi pensieri, gli sarebbero usciti come un ruggito bestiale.
Iris continuava a venire, ma lui non le dava modo di liberare l’orgasmo, bloccandole l’apice, spinta dopo spinta. La ragazza si mise a piangere dalla disperazione.
Quando il fluido vaginale di Iris iniziò a colare dal suo membro, Roland gettò la testa indietro: i suoi gemiti facevano eco a quelli di lei.
Era sull’orlo del proprio orgasmo quando uscì da lei con il pene pulsante e zampillante di sperma in mano.
L’orgasmo di Iris, non appena Roland si ritrasse completamente, fu prorompente e devastante: schizzò con tanta veemenza da fare la doccia a sé stessa, alla scrivania sotto di lei, a lui e al muro che Roland aveva ben oltre le spalle.
<<Cazzo!>>
Se non avesse poco meno di trent’anni avrebbe potuto giurare di stare avendo un attacco cardiaco: ogni singolo muscolo del suo corpo tremava, la testa gli girava per l’iperventilazione, il membro era dolente per quanto fosse sensibile e completamente svuotato. Cercò di controllare se Iris fosse viva o irrimediabilmente svenuta quando le ginocchia gli cedettero.
Ridendo con sé stesso, si accasciò per terra, con la schiena appoggiata ad uno dei piedi posteriori della scrivania, accanto ai piedi ciondolanti di Iris.
Devo fare cardio!!