Lividi

Lividi

Capitolo cinque

Ho bisogno di aiuto… ma a chi posso chiederlo?

Ascolto i miei pensieri.

Non lo facevo da tempo.

Questo lo ricordo bene.

Ero davvero sempre impegnato dalla mattina alla sera? Però credo che non sia stato sempre così…

È davvero strano riuscire a ricordarsi di non avere tempo ma non capirne il perché.

Lascio cadere la mia testa sul braccio sinistro, quando ho un braccio stanco lo cambio e passo all’altro.

La professoressa non mi dice nulla.

Perché?

Mi guardo attorno, alzo la testa solo di due dita, inizio a contare, ci sono: uno, due, tre, quattro, altri cinque ragazzi esattamente nella mia posizione.

È una cosa giusta secondo me. Chi non vuole seguire la lezione è libero di farlo, basta che non dia fastidio agli altri.

Il mio occhio destro si chiude mentre il sinistro si sofferma sulla nostra docente di matematica. Almeno i numeri scritti alla lavagna li so riconoscere ancora, quelli non li ho dimenticati, anche se lo avrei fatto volentieri, ecco che ci butta dentro anche le lettere, quella è una “a” in corsivo, ma ha una gamba anche sopra? E quell’altro? Due stecche con una linea sopra, sembra una casetta.

Sbatto le palpebre, molto meglio guardare la prof, avrà una trentina d’anni, è stupenda.

Ha i capelli nocciola e lisci, sembrano quelli delle bambole, li adoro, starei ad accarezzarli per ore e ore. Sono tenuti ben saldi sulla testa da un frontino color perla, io avrei scelto un colore più scuro.

Il mio occhio si abbassa e si ferma sulla camicia rossa, chiusa, abbottonata fino alla gola, non c’è nulla da vedere, scivola giù, ha un Jeans azzurro, alto, fermato sulla pancia dalla brillante fibbia di una cintura, credo di pelle, nera.

Lo sguardo scala a ritroso la donna, ha degli occhiali, in realtà non ho capito se è miope o meno, quando scrive alla lavagna li alza e li poggia sulla testa. Sarà astigmatica.

Cambio braccio.

La finestra è rimasta aperta, guardo Francesco, sta prendendo appunti.

Anche se non ricordo molto, dalle poche parole che abbiamo scambiato, sono convinto che lui non sia un tipo che prende appunti. Chissà perché lo sta facendo.

Abbiamo finito di giocare al turista?

Di nuovo questa voce? Non sono più sorpreso, avrò qualche personalità multipla che vuole prendere il controllo. È affascinante come cosa.

Ma quale personalità multipla, ti piacerebbe se lo fossi. Non paragonarmi ad un misero umano. Non dovevi chiedere aiuto e fermarmi?

Ho un senso di vuoto, mi sento inutile, e poi, a chi dovrei chiedere? Le cose o le fai da solo o ti fai affossare dagli altri. Sto pensando.

Sei davvero interessante ragazzo… volevo proporti un affare, che ne dici?

Chiudo gli occhi, alzo la testa, poggio i gomiti sul banco, avvicino le mani.

Sposo le due fila di dita in una cerniera di carne.

Che tipo di affare?

Oh, oh, stiamo prendendo coraggio, forse il mio aiuto non servirà neppure.

Zitto e dimmi cosa vuoi.

Va bene, stavo solo scherzando.

La verità è che hai bisogno di me.

Caro Marco.

Io voglio semplicemente farti tornare la memoria.

Tutta la memoria.

Arriccio il muso, faccio picchiettare i miei indici.

Scusami, se posso chiedere, non ha senso che tu prima mi togli ricordi e dopo me li restituisci senza niente in cambio.

Io non direi che è proprio così, sono sicuro che hai qualcosa di nascosto, insabbiato, o addirittura cancellato nei tuoi ricordi, alla fine è per questo che io sono qui.

Se non li ho più, un motivo ci sarà stato e se sono riuscito a cancellarli, posso rifarlo.

Non ho paura di affrontarli di nuovo.

Però ho delle domande…

Chiedimi pure.

Perché lo fai?

In parte perché sono fatto così e in parte perché devo.

Chi sei?

Te lo dirò, questo te lo prometto.

Ma ora rispondi alla mia domanda, vuoi che ti ridia tutti i tuoi ricordi? Sei davvero sicuro che la tua mente possa riaccogliere ciò che hai eliminato negli anni?

Divorzio le mani, lascio cadere le braccia, morte, lungo il mio busto, sono sfinito.

Guardo Francesco, avevo detto che avrei chiesto aiuto, e invece…

Ci sarebbe Cristiano, lui potrebbe aiutarmi, forse anche mia madre, magari la prof.

Molte persone potrebbero aiutarmi, però.

Quindi vuoi proiettare i tuoi problemi sugli altri? Vuoi che anche loro soffrano? Non basta quello che hai fatto a quella ragazza? Mary? Si chiamava così? Non avevi detto che le cose o le fai da solo o ti fai affossare dagli altri? Cambi idea così facilmente?

Mary… non è stata colpa mia, non ricordavo chi fosse.

Ecco, vedi, se avessi avuto i tuoi ricordi non l’avresti mai trattata in quella maniera, le hai fatto del male. L’hai fatta piangere, i suoi occhi si erano spenti. Li hai visti, no? Oppure non ti importa nulla.

Ha ragione.

Ma dovrei fidarmi? Credo ci sia un tranello, anzi, ne sono certo, mi vuole imbrogliare, ma cosa succederà quando riavrò tutta la mia memoria?

Il mio cervello ne capisce più di me e parla chiaro.

Mi sta urlando di non farlo, ma il mio cuore.

Con un palmo lo accarezzo.

Lui sta soffrendo, lo sento, non vuole più ferire nessuno.

La stupidità del cuore è inevitabile.

Sei un umano, non puoi farne a meno.

Anche se sei molto fermo nelle tue intenzioni, non riuscirai a respingere la forza del tuo cuore.

Questa ti trascinerà nelle profondità dei tuoi sentimenti. Quelli veri.

Avanti.

Ricorda!

Ricorda tutto quello che ti è successo finora, tutto.

Ogni singolo livido dei tuoi ricordi.

Un immenso respiro, rumoroso, incessante. Bestiale. Cado giù dalla sedia, sbatto la testa sulle mattonelle. Sono fredde, gelide.

«Marco!»

Francesco salta giù dalla sua sedia, è vicino a me, la sua mano è già tesa. Sembra che sapesse che sarei caduto. Perché sono caduto? Cosa è successo?

«Mi alzo da solo.» La sua espressione si spegne. Poggio le mani a terra, mi rialzo.

La classe sta fissando me. La campanella suona, mi salva, quel fastidioso ronzio mi punzecchia le orecchie.

«Ringraziate Marco, non ho tempo per darvi i compiti.» Guardo la cattedra, c’è un professore, un uomo. Giacca cobalto e pantalone blu scuro, camicia bianca e mocassini marroni. A rovinare il tutto, una lunga e insolita cravatta gialla che spazza via quella sinfonia di colori.

Il professore di Economia è sempre bizzarro, per usare un eufemismo.

Aspetta.

Sbatto le palpebre. Mi ricordo di lui?

Guardo Francesco. Tutti i suoi ricordi mi sferzano nella mente.

Li rivedo, uno per uno.

Spalanco la bocca, sento gli occhi bagnarsi.

«Marco, ma che cazzo ti succede oggi?»

«Francesco, sei proprio tu? Sono io, sono tornato io, capisci?»

«Ok… e io sono tornato Francesco?» Non capisce, non può capirmi, ora mi ricordo.

Mary, dov’è Mary? Devo trovarla, devo scusarmi con lei. Ora.

«Se stai pensando a Mary, dovrai aspettare domani.» Francesco legge i miei occhi, siamo migliori amici non a caso.

«Che significa? Cosa cazzo significa che devo aspettare domani? La chiamo adesso.» Una coppia di mani ammanetta i miei polsi. Francesco mi ha bloccato, ma che cazzo fa? «Che stai facendo?»

«Ascoltami, Marco, aspetta domani.» Il suo sguardo è sincero, sta dicendo qualcosa di profondo, qualcosa di esatto. Ma perché? Questo non lo riesco a capire.

Abbandono la tensione delle mie braccia, le ammorbidisco.

Prima di ogni cosa devo calmarmi e capire cosa è successo.

«Hai ragione, meglio che per oggi la lasci stare.» Francesco mi libera dalla sua presa.

«Puoi dirmi cosa ti sta accadendo?» Lo guardo per un attimo, sospiro, in classe siamo rimasti solo noi. Sento un fastidio nella tasca, faccio immergere la mano e prendo qualcosa, una pietra? Sta brillando. Lui la guarda.

«Bella pietra, si illumina anche. Dove l’hai comprata?» La tocca con il polpastrello dell’indice. «C’è qualche lucina dentro? Con una batteria di quelle usa e getta, magari.» La sua faccia si incupisce, retrae prontamente la mano. È impaurito da questa pietruzza?

«Fra?»

«N-Niente, l-lascia stare.» Balbetta prima di abbassare il capo, è come se toccando questa pietra si sia sentito giù. Afferra la mia mano, mi strattona via.

Sbatto le palpebre.

Dove sono? Intorno a me c’è un bosco? Sono Abeti? No, sono a Roma, che alberi saranno? Non sono mai stato bravo in scienza.

«Marco, quanto sei lento.» Una mano afferra la mia, mi strattona. «Stiamo arrivando, questa palla al piede è davvero lenta.» Chi è questo ragazzino? Avrà undici o dodici anni. Abbasso lo sguardo, sono in mutande, non ho nient’altro indosso. Le mie gambe, le mie braccia, sono ricoperte di ferite e lividi, ma dove sono?

«Non ti abbiamo pestato abbastanza, io l’avevo detto di darti qualche altro calcio.» Mi hanno pestato? Non riesco a pensare, sento il dolore, ma la mia testa è assente. Solo il cuore mi parla. Batte, lento e poi veloce.

«Ancora non hai imparato la lezione?» Il ragazzino che mi teneva per mano mi scaraventa a terra. «Te lo abbiamo detto mille volte che non puoi prendere voti alti. Perché ti ostini a farlo?» Alzo la testa, una ragazzina, sembra più grande di qualche anno.

«Finisce sempre così, lo fai apposta?»

Un calcio.

La punta della sua scarpa si schianta contro il mio mento, i denti, sento il sangue fra i denti.

Gli occhi virano, la testa si appesantisce.

Mi accascio al suolo.

«Essere intelligenti, andare bene a scuola, essere migliori degli altri. Tutto questo non va bene. Devi essere come noi, non puoi essere meglio. Lo capisci?» Le sue dita mi afferrano i capelli, solleva la mia faccia. Mi fissa, ha gli occhi azzurri, limpidi ma colmi di cattiveria, malvagità, dolore, invidia. «Ci prendi per il culo, ci dici di non studiare ma riesci sempre a prendere il massimo. Sei un pessimo bugiardo e anche un pagliaccio.» Mi scaraventa di nuovo a terra, la mia pelle bacia i piccoli granelli marroni.

«Perché? Perché!»

Posa il suo piede sulla mia testa, mi schiaccia.

«Perché non sono come te?»

La mia testa vortica, i pensieri si ingorgano tutti insieme, soffocano nel mio cervello, lottano fra loro.

Sbatto le palpebre.

Questi muri, e adesso? Questa è casa mia? Cosa ci faccio qui?

«Non puoi essere un figlio normale? Eppure, non chiedo molto.» La voce di mia madre? Ma dov’è? E con chi starà parlando?

«E non fare finta di non ascoltarmi!» Uno schiaffo mi fa aprire gli occhi. Lei è proprio davanti a me, sta piangendo. Chi l’ha fatta piangere, chi? «È assurdo, è assurdo, è assurdo!» Cosa è assurdo mamma? Cosa? Mi tocco la bocca, non riesco ad aprirla, non riesco a parlare. «Avrei preferito che tu non fossi mai nato.»

Si volta, mi dà le spalle. La discussione è finita… sono stato io a farla piangere. Mi guardo attorno, sono in camera mia, fuori la porta c’è una donna.

«Marco, vieni fuori dalla tua stanza, possiamo risolvere tutto, insieme.» Mi sorride, ma cosa vuole? Do un altro sguardo intorno a me, ci sono panni ammucchiati in un angolo, sporcizia ovunque, bottiglie d’acqua vuote. I miei occhi sono disgustati, tracciano il resto della stanza per poi fermarsi sulla porta. È stata sfondata con la forza, un lucchetto giace a terra, spezzato.

I chiavistelli, montati dall’interno, sono tutti piegati.

Mi ero chiuso in camera? Ma quando e per quanto tempo?

«Non aver paura, parla con me, insieme capiremo il motivo di tutto questo. Sei giovane hai appena quattordici anni, possiamo risolvere tutto.»

Faccio un passo avanti, ho le vertigini, barcollo. Non riesco a reggermi in piedi, cado in avanti.

Sbatto le palpebre.

«Mi ami?» La mia mano afferra la manica di una felpa, la strattona. «E lasciami!» Il braccio in cui è avvolta l’abito schizza via. Mollo la presa. «Sei davvero patetico, ma come puoi dirmi una cosa del genere? Solo perché ti ho dato un po’ di confidenza? Solo perché ho avuto pena di te. Davvero sei… non saprei neanche definirti.» Chi è questa ragazza? Ha i capelli biondi, dorati, sono leggermente crespi e hanno un buon profumo. Lo sento da qui.

«La smetti di guardarmi? Vattene! Mostro! Sfigato! Coglione!» Perché mi sta trattando così? Cosa le ho fatto? «Tu non sei fatto per amare. Capiscilo!»

Perché sta urlando? Mi soffermo sulle sue parole, io non devo amare? Non sono fatto per quello? Esistono persone che non sono fatte per amare? Io sono uno di loro?

«Se continuerai così, non troverai mai una ragazza. Anzi, non avrai mai degli amici. Non avrai mai una vita. Sparisci dalla mia vista, non voglio sentire mai più parlare di te.» Il mio cuore è trafitto, sembra che delle lunghe e pesanti spranghe di ferro si siano conficcate dentro di lui.

Non respiro, il battito, rallenta, si indebolisce, si azzera.

Sbatto le palpebre.

«Allora, adesso devi andare a lavorare, vero?» Apro gli occhi, Francesco. «Ma che cazzo, stai piangendo? Che ti succede, Marco?»

«Lasciami!»

«Asp-»

«Lasciami, cazzo!» Tiro via la mano, la sbatto nel muro, non sento nulla.

Guardo le mie nocche, rosse, hanno attutito lo scontro ma non avverto nulla.

«N-Non c-cercarmi.» Corro via, scappo dai corridoi della scuola, devo andarmene, ho male, male al cuore. Sento che sta per disintegrarsi, devo allontanarmi da tutti.

Nessuno deve vedermi.

«Marco, aspetta.» C’è Cristiano, mi chiama, lo supero velocemente, ascoltandolo appena.

Anche lui non deve saperne nulla, devo stare solo.

Nessuno.

Nessuno.

Nessuno.

Nessuno.

Nessuno deve condividere questo mio dolore.

Fa troppo male.

Devo farlo da solo.

La pietra della disperazione – Le catene del passato

La pietra della disperazione – Le catene del passato

Stato: Completato Tipo: , Autore: Rilascio: 2022
Una pietra, una strada, un ragazzo. Un passato da cui non si può scappare. Quando la vita sembra andare per il meglio cosa potrebbe rovinare tutto? Una presenza strana, una voce insolita, un senso di vuoto. Che sia la coscienza a scatenarsi o qualcosa di più grande? Marco lo scoprirà a sue spese e si renderà conto di come la vita sia una serie di ricordi dai quali non si può sfuggire.
error: Il contenuto è protetto!

Opzioni

non funziona con la modalità scura
Ripristina