Capitolo cinque
Cos’è questo profumo… ha qualcosa di familiare, l’ho già sentito. Somiglia alle candele che uso a casa, ultimamente ho preso quelle alla frutta, alla ciliegia, così anche se non mangio frutta almeno la odoro.
«Si sta svegliando.»
Di chi è questa voce? Non l’ho mai sentita. Apro gli occhi ma non vedo nulla.
Provo a muovere un braccio, non ci riesco.
Provo a muovere una gamba, non mi ascolta.
«Toglile il sigillo dalla fronte.» Sigillo?
«Procedo.» Questa è la voce di Saro, ne sono sicura. La mia pelle inizia ad avvertire una presenza, qualcosa mi sta sfiorando. Delle dita si posano sulla fronte, credo siano indice, medio e pollice. Afferrano qualcosa, la pelle si tira, pizzica, brucia.
«Sidora, stringi i denti, tra poco i tuoi dolori ritorneranno.» Ancora questa voce? È molto flebile e quasi gracchiata. Sarà un’anziana a parlare?
Il rumore di uno strappo si riversa nell’aria, è lo stesso delle strisce di ceretta che solitamente faccio.
Respiro affannata, il torace mi schiaccia, sento un dolore provenire dal fianco. Ho gli occhi spalancati ma non riesco a vedere.
Ordino alla mano destra di precipitarsi davanti a loro, afferra qualcosa, la strappo via. Sono delle bende?
Sono in un letto, un lenzuolo bianco copre le gambe e il bacino, guardo il mio fianco, è completamente avvolto in delle fasce bianche. Provo a piegarmi verso di lui.
«Fermati!» Mi blocco all’istante, giro la testa, una vecchietta mi guarda, è in piedi su uno sgabello e sta di fianco al letto. «Se ti pieghi, la ferita si riaprirà.» Mi ammonisce.
Ha i capelli grigi, lunghissimi, e indossa un saio nero che le copre anche i piedi.
«Sidora.» Mi volto dall’altro lato, Saro ha gli occhi bagnati. «Scusami.» Dice prima di abbracciarmi.
Le sue braccia sono normali, anche le mani, il busto, tutto il suo corpo. È tornato un essere umano.
Non parlo, non riesco a farlo. Ho paura che facendolo mi si riapra la ferita.
Ricordo solo che mi ero messa fra la mano unghiata di Saro e il suo fianco, poi quello che è successo è un mistero per me.
«Hai fegato, ragazzina.» L’anziana si complimenta con me. «Stupida e coraggiosa.» Annuisce compiaciuta.
«Riposati, vestiti e poi vieni da me. Devo parlarti.» Salta giù dallo sgabello, il legno sotto ai suoi piedi scricchiola, cammina lentamente verso la porta della stanza. Esce.
Sbatto le palpebre, sono in una stanza non molto grande, ci sono un paio di letti, un tavolo e delle mensole, tante mensole, che tappezzano le pareti.
«Dove sono?» Mi stacco dalla presa di Saro.
«Questa è casa mia.» Sorride, i suoi occhi si abbassano e si rialzano. Cosa sta guardando? Faccio lo stesso.
Sono nuda. La mia faccia inizia a scaldarsi, con le mani afferro il lenzuolo e lo tiro su fino alla gola.
«N-Non g-guardarmi.» Balbetto imbarazzata.
«Va bene.» Si alza, il mio occhio si sofferma sul suo pantalone, sembra normale, nessuna protuberanza strana. «Comunque, per la cronaca, sono io che ti ho spogliato e lavato. E poi tu mi hai già visto nudo, più volte. Non vedo cosa ci sia di male.» Si volta, fa spallucce. «Ti porto dei vestiti.» Avanza nella stanza, i suoi passi sono leggeri e non fa scricchiolare il pavimento. Esce dalla porta.
«Ma che cazzo faccio…» sussurro prima di darmi una manata sulla fronte. «Mi ha salvata, due volte, e io mi preoccupo di questo?» Mollo il lenzuolo, lascio il petto libero, mi afferro il seno, lo soppeso.
Sono normalissime tette, una bella terza, molto tranquilla. Non c’è nulla di sbagliato. Però, pensandoci, Saro non sembrava eccitato, magari gli piacciono più piccole? Magari ancora più grandi?
Scuoto la testa. Voglio alzarmi.
Sfilo le gambe dal letto, mi siedo, il fianco fa cenno di fermarmi, lo suggerisce all’essere nella mia testa. E io, ovviamente, lo ignoro. Poggio il palmo delle mani sul materasso, spingo.
Spremo le mie energie ma niente. Le gambe tremano ma non riesco ad alzarmi.
«I vestiti sono qui fuori.» La voce di Saro viene dal retro della porta.
«Asp-» mi interrompo. Non voglio che mi veda così debole. Devo farcela da sola.
Allargo le gambe, la pianta del piede è ben salda sul pavimento. Il legno scricchiola. Catturo un lungo respiro, poggio le mani nuovamente sul materasso e spingo con tutta la forza che ho. Porto la testa verso l’alto e tiro anche con essa.
Sono in piedi.
Avanzo di un passo, il fianco mi punisce. Una fitta taglia la carne. Ho l’affanno dopo un singolo passo.
Ignoro nuovamente i segnali del mio corpo e continuo a camminare.
Stavolta non sono così fortunata. Le gambe cedono, mi piego su me stessa. Smorzo un urlo. Guardo il mio fianco, le bende si sono tinte di rosso, la ferita si è riaperta.
«Guarda che sono ancora qui fuori, e so che sei accovacciata a terra e probabilmente si è riaperta la ferita.»
Adesso mi spiega come cazzo fa a saperlo…
«Non è vero.» Mugugno, non ce la faccio, sento di svenire.
«Sidora, non dire cazzate, è la prima volta che subisci un danno così. È ovvio che il tuo corpo reagisca in questa maniera, non è allenato.» Cosa sta dicendo? Come ci si può allenare per evitare queste cose?
«Sto entrando, copriti.»
Saro entra nella stanza, ha dei vestiti in mano, mi guarda.
«Almeno potresti chiudere quelle gambe, ho capito che sei ferita ma così sembri davvero una camionista.»
«Saro, ma vaffanculo.» Inizio a ridere, non mi era mai capitato che un ragazzo mi dicesse di chiudere le gambe. Esiste davvero una prima volta per tutto.
«Ti rimetto sul letto.» Si avvicina a me, usa le sue braccia come una gru e alza il mio corpo. «Quando ti ho portato in groppa sembravi più leggera, mai pensato a una dieta?» Mi sorride. Faccio una smorfia. Mi adagia sul letto.
«Sai, quelli come noi non sono normali.» Prende un paio di forbici dalla tasca dei suoi pantaloni. «Riusciamo a fare cose che trascendono l’umanità.» Taglia la benda gremita di sangue.
«Aspetta, così il sangue salterà ovunque.» Accenna un sorrisetto e continua a tagliare. Sposta le fasce.
«Il mio fianco è pulito.» Resto senza parole, come è possibile?
«Vedi la mente umana è davvero forte. L’ultimo ricordo che avevi del tuo fianco era quello ricoperto di sangue e lo hai continuato ad associare a quello.» Saro prende dei pantaloncini, me li infila. «Ti eri convinta di questo e non accettavi la realtà. Alza un po’ il culo.» Spingo sulle gambe e sollevo il bacino, non sono imbarazzata come mi aspettavo, perché? «Grazie. Hai visto come ho buttato fuori le pallottole, no? Era quello che intendevo per “allenamento”.»
Non riesco a dire nulla, mi sembra di essere in un sogno.
«Alza le braccia.» Lo ascolto, le alzo. Prende una maglia. «Riesci ad infilarle?» Mi chiede con uno sguardo quasi paterno. Forse è per questo, forse è questo suo modo di porsi quasi da genitore che mi fa stare tranquilla. Annuisco e faccio passare le mie braccia attraverso i buchi, infilo la testa. «Adesso abbassala tu.» Prende le mie mani e le porta sul petto, proprio dove la maglia si era fermata. Tocca la mia pelle, al tatto, però, mi sento ribollire.
«G-Grazie. Ce la f-faccio.»
Sono finalmente coperta, tiro un sospiro di sollievo.
«Saro.»
«Dimmi, Sidora.» La sua faccia è così carina, i suoi lineamenti sono molto delicati, ha un’espressione dolce, tranquilla.
«Anche il dolore che provo è solo un ricordo?» Picchietta il suo dito sul letto.
«No, il dolore è autentico. Il nostro corpo rigenera le ferite in fretta ma il dolore non fa eccezioni. È per questo che non riesci ancora a camminare. Ti abbiamo detto che la ferita poteva riaprirsi per non farti fare movimenti bruschi. Ma non è servito.» Mi sorride.
«C-Credo di aver capito…» Quindi lui ha sopportato il dolore di venti pallottole conficcate nella schiena, se ci penso mi vengono i brividi.
«Dobbiamo andare, l’anziana deve parlarti.»
«L’anziana?» Domando perplessa.
«Sì, la vecchietta che ha applicato il sigillo sulla tua testa. Quello è un simbolo speciale che serve per alleviare i dolori di noi lupi.» Saro la fa facile… aspetta, noi lupi? Avevo quasi dimenticato questo particolare.
«Ti spiegherà ogni cosa, adesso vieni con me.» Un suo braccio scivola sotto la mia spalla, l’altro sotto le mie gambe. Mi alza dal letto.
«Puoi mettermi giù.» Dico decisa.
«Ah, v-va b-bene.» La sua faccia tentenna. Scendo dalla presa e resto in piedi. «Non ti fa più male?» Mi chiede incredulo.
«Certo che mi fa male, ma questo non è nulla se penso al dolore che hai provato tu per salvarmi. Che facciamo, andiamo dall’anziana?»