Questa cella puzza di piscio e umidità.
Questo è il primo pensiero della mattina e l’ultimo della sera prima di addormentarsi.
Non ci sono finestre e l’aria è stantia, come se fosse qui da secoli.
I muri, formati da giganteschi mattoni rettangolari di pietra grezza, sono coperti di incisioni che riportano le volgarità più disparate: da rappresentazioni artistiche di guardie in compagnia di falli di varie dimensioni a insulti diretti all’imperatore o all’autorità in generale, scritte in ogni lingua del globo.
C’è un vecchissimo secchio arrugginito in un angolo, per quando la natura chiama, e un sacco di iuta riempito di paglia in un altro.
Mentre sono sdraiato sul lurido pagliericcio, scrutando le pareti in cerca dell’insulto più divertente, sento avvicinarsi qualcuno dal corridoio.
Ah, è già ora?
“La cena!”, si sente urlare dal fondo. Il tremendo odore della zuppa inonda il piano, cancellando il puzzo di piscio.
I primi giorni qui non mi sono azzardato a mangiarne neanche un cucchiaio per paura di morire nauseato ma essendo l’unico piatto che viene servito, una volta al giorno, non ho avuto scelta.
La sbobba è estremamente nutiritiva però. Fornisce tutto il fabbisogno giornaliero per qualsiasi razza, ma l’Erba Marcia, ingrediente principale della zuppa, emette un terribile odore una volta raccolta, anche dopo essere stata cucinata. Da qui, il nome poco invitante.
“Hey, HEY! Dateci del pane almeno! Sempre e solo questo schifo di brodaglia!?”
Questa voce mi è nuova.
Mi alzo e mi avvicino alle sbarre per vedere chi si sta ribellando al menù.
Nella cella di fronte alla mia, due corte braccia pelose si agitavano sporgendosi dalle sbarre.
“Silenzio, nano! Ringrazia che vi venga anche solo servito del cibo!” gli risponde prontamente una guardia, avvicinandosi alla sua cella e diventando visibile alla luce della torcia.
I nostri carcerieri non sono eccessivamente armati o corazzati, non indossano nessun oggetto magico per paura di essere derubati durante i giri di ispezione delle celle e fanno turni massacranti, dalle 10 alle 12 ore. Non c’è da meravigliarsi che ogni tanto qualche prigioniero troppo loquace venisse messo a tacere con un po ‘di mazzate.
Skaggi il nano lo aveva intuito, ma dopo già due giorni senza un buon liquore o della prelibata carne, lo stomaco ebbe il sopravvento sul cervello.
“Altrimenti che fai grand’uomo?” dice alzando la voce “Vai a dirlo al Capitano? Uhh che paura! Vai vai, come quando correvi piangendo da quella scrofa di tua ma…”
Non fa in tempo a finire la gentile frase che l’elsa della spada della guarda, già all’altezza del suo naso, lo colpisce in piena fronte, facendolo cadere sul pavimento.
Ouch.
“Ti ho detto di tacere!” gli intima la guardia.
“Maledetto bastardo, che tu possa annegare nello sterco di cinghiale!” insiste Skaggi, mentre si rialza dal pavimento con una mano sulla ferita sanguinante.“Vieni qui dentro forza, risolviamola come si deve! Vigliacco!”
La guardia sembra pensarci per un istante, poi si volta sputando per terra e torna verso il suo compagno che sta trasportando il pesante calderone maleodorante.
“Vigliacco infame!” gli urla un’ultima volta il nano. “E tu cos’hai da guardare?” mi dice mentre si volta nella mia direzione.
Finalmente qualcuno con cui parlare, stavo uscendo di testa.
“E la cosa più interessante che succede da giorni, non ho potuto fare altro che osservarvi.” gli rispondo lentamente.
“Ha avuto paura, te lo dico io! Anche senza armi sono una vera forza della natura!” continua Skaggi con un ghigno sul volto. La ferita è peggiore di quello che sembra e sta perdendo molto sangue.
Mi sporgo leggermente dalle sbarre per vedere dove fossero le guardie: stanno ancora servendo le celle all’inizio del corridoio.
Infilo la mano nella tasca nascosta dentro allo stivale, afferro un po del suo contenuto, lo appallottolo e lo lancio verso la sua cella.
Tanto me ne rimane ancora un sacco…
“Cosa stai facendo?” esclama dubbioso.
“A buon rendere!” gli rispondo sorridendo.
Skaggi si abbassa e raccoglie la piccola pallina verdognola.
“Ma questa è Erba Medica!” sussurra nella mia direzione, mentre la annusa. “Non pensare che mi possa servire, noi nani siamo resistenti quanto le montagne!” dice mentre è impegnato a nascondere le erbe nelle tasche dei pantaloni.
“Apprezzo comunque il pensiero, umano. Come ti chiami?”
“Arsèn.” gli rispondo.
“Io sono Skaggi, clan Galehorn delle Terre Libere del Nord!” esclama con fierezza.
“Sei ben lontano da casa, allora.” esclamo sorpreso. “Non si vedono molti abitanti del freddo Nord da queste parti.”
Non da quando ci sono stati confinati con la forza…
“A ragion veduta! Non è per mia volontà che sono qui, ovviamente!” si affretta a rispondere. “Ma rimandiamo la discussione ad un secondo momento.” taglia corto, indicando con un cenno della testa le guardie che si avvicinano.
Mi allontano dalle sbarre per prendere la scodella di latta di fianco al mio giaciglio e lo porgo alla guardia con il calderone. Ci versa dentro un paio di cucchiaiate di zuppa e me lo rende. La brodaglia ribolle ancora, l’odore è quasi insopportabile da questa distanza. Poggio il piatto a terra per farlo raffreddare e torno a sdraiarmi sul pagliericcio.
L’odore sembra peggiore oggi…
Skaggi stava picchiettando il piatto sulle sbarre, producendo ritmicamente un rumore metallico, mentre guardava in cagnesco la guardia di prima che invece non lo degnava di attenzione. Gli strappò di mano la scodella, la immerge direttamente nel calderone e prima di ridargliela ci gira dentro un dito per mescolarla.
“Buon appetito!” gli disse sogghignando, avvicinando la brodaglia alla sua faccia.
Skaggi, furioso, lancia via la scodella, rovesciandone il contenuto sul pavimento e sputando sullo stivale del carceriere.
“Magiatela tu questa merda, maiale!” urla furibondo.
Poi con un balzo, schiva l’elsa della spada che nuovamente stava per colpirlo, inciampando e cadendo di schiena sul pavimento, di nuovo.
La guardia ride e si allontana con il suo collega dal punto da cui erano arrivati.
Skaggi si rialza velocemente, per aggrapparsi nuovamente alle sbarre e inizia a sbraitare qualcosa in nanico, sicuramente non belle parole.
Mentre aspetto che la zuppa e il mio nuovo amico si raffreddino, curioso di sentire cosa avrà da raccontare, ripenso a come ci sono finito io qui dentro.
A quella notte in cui tutto doveva andare liscio.
All’imboscata delle guardie, che sicuramente avevano ricevuto una soffiata.
Al maledetto che mi ha tradito!